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Paul Delvaux ed il mondo antico

Pompei e la Grecia come luoghi di memoria
sabato 19 dicembre 2009 di Elvira Brunetti

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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L’ambizione della mostra brussellese è quella d’indagare sulla presenza costante dell’antichità nelle opere di Paul Delvaux (1897- 1994). Una passione che il pittore belga rivendica fin da piccolo quando a scuola leggeva l’Iliade e l’Odissea e che lo spingerà a visitare i luoghi mitici negli anni trenta in Italia e negli anni cinquanta in Grecia. L’amore per l’Antico lo tocca profondamente, sarà la rivelazione di una perdita prima inconsapevole ma poi assimilata dall’artista a quella dell’infanzia, per sua natura ineluttabile eppure tangibile nella carnagione bianca ed infantile delle sue giovani fanciulle, tutte uguali dagli occhi grandi e neri, i capelli lunghi o avvolti in pettinature antiche. La “Leda col cigno” (fig.1), proveniente da Londra, è un esempio che incanta per il suo candore. Delvaux sente con forza viscerale il legame con la donna, simbolo della procreazione e anello di congiunzione tra la terra ed il cielo.

Nel quadro “La nascita del giorno” o “L’Aurora” (fig. 2) della collezione P. Guggenheim di Venezia egli s’interroga sulla relazione esistente tra cultura e natura. Se da una parte la natura gli appare misteriosa e violenta, a volte madre e a volte matrigna, l’uomo sembra mostruoso e crudele. L’opera è datata al 1937, l’anno di “Guernica”di Picasso ed ha fatto da copertina al famoso libro il Seno nell’arte dall’antichità ai nostri giorni. Come altri artisti dell’epoca anche il Nostro era angosciato dall’avanzata dei totalitarismi politici. In ogni caso provava un sentimento di avversione alla guerra che lo indusse alla ricerca di un rifugio nella pace dell’antichità classica. L’interesse di Delvaux per la scultura greca lo spinge ad elaborare una figura umana teatralizzata. Composizioni drammatiche che mettono in scena personaggi mitici come Pigmalione, Venere, Penelope, le sirene.

Nell’opera “Il canapè verde” (fig. 3) sembra che si sia appena alzato il sipario sulla scena, le cui immagini evocano una sacralità segreta di luoghi di memoria. Il referente è naturalmente De Chirico. Dietro il tempio greco svettano due vulcani di chiara reminiscenza vesuviana.

E la posa malinconica del corpo sdraiato sul divano ricorre anche nel quadro, divenuto il logo della mostra (fig. 4); qui in primissimo piano una fanciulla pensierosa si contrappone al biancore del tempio classico in lontananza. E’ l’inquietudine dell’artista che aleggia in tutte le sue opere.

Così come nel “Pygmalion” (fig. 5) c’è una sospensione del tempo, in quanto i tre personaggi sono totalmente estranei al contesto. Mentre di spalle l’uomo magrittiano va via, la donna fiore arriva senza alcun rapporto né reciproco né con la protagonista della scena, che in modo sensuale abbraccia il suo modello. Tale dipinto è famoso proprio per l’operazione inversa che Delvaux fa del mito. Non è il pittore che, innamoratosi della sua statua l’abbraccia, dandole la vita, ma è una donna prosperosa che circuisce una statua maschile striminzita. Ancora una volta il valore dell’eterno femminino si afferma nella sua arte.

Nel “La sirena” (fig. 6) del 1949 da Southampton City, la posa trionfale e sensuale del corpo adagiato morbidamente su cuscini di velluto viola, nell’ora lunare, è fortemente seducente per la folta chioma bionda e lo sguardo vivo della famosa incantatrice del passato.

Nel “L’uomo della strada” (fig. 7) c’è una fanciulla dalla bellezza straordinaria, che fa lontanamente pensare alla “Primavera” di Botticelli per la corona di foglie che oltre la testa sembra incorniciare anche il corpo in perfetta simbiosi con la natura vegetale.

A Pompei Delvaux si reca in due viaggi diversi a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. Vi esegue molti schizzi, disegni e acquarelli, alcuni dei quali presenti in mostra oltre a vari appunti dal taccuino di viaggio; aveva una formazione accademica notevole, ragione per la quale la prospettiva dei monumenti è messa chiaramente in evidenza. Dalla Fondazione Paul Delvaux di Saint Idesbald proviene un carboncino, il cui titolo è “La città addormentata”. Si allude a Pompei di notte. Una luna intrisa di nostalgia del passato, rischiara il luogo, regno di una inquietudine metafisica. Il Vesuvio in lontananza incombe sui due alberi spogli in primo piano dall’apparenza di due scheletri viventi, mentre dietro le architetture monumentali della città sfidano miseramente il tempo.

Dai bozzetti agli imponenti quadri a parete che in sostanza ripetono lo stesso cliché del pellegrinaggio umano verso il luogo di redenzione. “Pompei non è un insieme di rovine, ma lo scheletro di una civiltà. E per me lo scheletro è un elemento vitale intenso” (dal carnet di P. D.). Così la via Sacra di Pompei diventa un cammino illuminato da candele poggiate per terra che conducono verso un arco di trionfo. Nel 1966 e nel 1970 dipinge due grandi tele in cui Pompei, l’una e l’Acropoli, l’altra sono le mete di un corteo sacro di giovani fanciulle verso la luce eterna. L’antichità è presente da più di duemila anni, la si può vedere, sentire e vivere attraverso l’arte. La pittura ha quindi il compito di prolungarne l’esistenza.

Se per Delvaux l’origine della civiltà coincide con l’antichità, natura e cultura troveranno l’armonia in seno ad essa e la donna è il tramite per raggiungerla.

Quanti artisti del passato sensibili al fascino di Pompei si sono recati sul luogo mitico! Ricordiamo il pittore inglese, olandese solo di nascita, sir R. Alma Tadema, P.A. Renoir e Picasso.

La mostra “Paul Delvaux ed il mondo antico” presenta una settantina di opere tra quadri, disegni, documenti e scritti ed è visitabile ai musei reali delle belle arti di Bruxelles fino al 31 gennaio 2010.

 

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