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Arrivano le feste: a tavola, il pranzo è servito!

Le Feste sono fatte di tante cose e tra le più gradevoli ci sono i momenti conviviali.
lunedì 7 dicembre 2009 di Michele Penza

Argomenti: Opinioni, riflessioni


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Si approssimano le feste di fine d’anno, religiose e civili, che malgrado tutto conservano ancora qualche significato per gli italiani. Rappresentano per tutti una pausa nell’attività consueta e per molti possono essere anche un momento di distensione e di rigenerazione del corpo e dello spirito, da trascorrere possibilmente in famiglia o con gli amici.

Le feste sono fatte di tante cose e una di queste componenti, tra le più gradevole per il piacere che può offrire è data dai momenti conviviali, da quanto concerne cioè la tavola e il cibo.

La tavola e il cibo

E’ sbagliato pensare che le due cose siano sempre state unite nell’immaginario popolare. Per moltissimo tempo gli uomini comuni hanno fatto a meno della tavola e mangiato seduti per terra, magari attorno al fuoco nella stagione fredda, e in genere consumavano un solo pasto al giorno di una certa consistenza. Fino a un paio di generazioni fa gli italiani erano un popolo di agricoltori e di pastori. Le donne dei contadini cucinavano qualcosa la sera, al ritorno dal lavoro dei campi, verdure o patate, raramente la carne, che si vedeva solo nei giorni di festa. Quando andava bene si cucinava una gallina, ma soprattutto ci si nutriva di pane o di polenta, nelle regioni del mais.

Il caminoSpesso era solo l’uomo a sedersi alla tavola, le donne e i bambini si mettevano sparsi qua e là per la cucina, su una seggiolina, appoggiati a una cassetta o seduti su un gradino vicino al camino. Specialmente nelle case dei pastori, che restavano assenti da casa per mesi interi, non c’era l’abitudine di riunirsi attorno al desco. Quando veniva l’appetito ognuno si tagliava una fetta di formaggio e l’accompagnava con un pezzo di pane. Ci si riuniva a mangiare insieme quando in casa c’erano tutti, raramente, nei giorni di festa. Il tavolo che rappresentava il vero punto di aggregazione sociale non era quello di cucina ma quello della taverna, che ha rappresentato per secoli per la comunità laica quello che la parrocchia ha rappresentato per la comunità religiosa.

Questa realtà non è scomparsa da tantissimo tempo anche se oggi è stata totalmente dimenticata. Nei borghi e nelle città ovviamente le cose andavano diversamente, diversi essendovi gli spazi delle case, la loro stessa struttura e le esigenze di vita. Quando la gente ha abbandonato la campagna per andare a vivere nei centri urbani ha dovuto cambiare molte abitudini e la tavola del banchetto, una volta prerogativa dei re e dei potenti, è divenuta patrimonio di tutti, anche dei più umili. Quasi dappertutto si è dovuto rinunciare al focolare, che simboleggiava il punto caldo del nucleo famigliare, il centro ideale intorno a cui disporsi per stare materialmente insieme e sentirsi ristorati e ricaricati, e in sua vece è stato posto ciò che è possibile collocare in qualsiasi tipo di abitazione, ossia una tavola su cui disporre i cibi, e intorno alla quale sedersi, con calma, a mangiare e parlare.

tavolo da cucina con marmoQuando ho iniziato ad arredare una casa per abitarci con la mia famiglia ho dovuto naturalmente comprare anche un tavolo, piuttosto grande, che offre la possibilità di inserirvi due segmenti al centro per allargarlo ulteriormente e consentirne l’uso a una diecina di persone. Lo abbiamo scelto con cura come ci piaceva, robusto, pesante, di legno e non di segatura incollata, di forma rotonda, piuttosto caro, e lo abbiamo collocato nel soggiorno, ma se io voglio riferirmi col pensiero al desco famigliare non è a quel tavolo che penso, è un altro quello che ho in mente. Consiste in una vecchia lastra di marmo poggiata su una struttura di legno con le zampe solcate profondamente dalle unghie di varie generazioni di gatti, collocata ovviamente non nel soggiorno ma al centro della cucina. Non saprei dire quante volte abbia visto impastare la sfoglia della pasta o la pizza su quella lastra, sulla quale io stesso mi divertivo a sistemare, bene allineati per farceli entrare tutti, gli gnocchi di patate per farli asciugare bene prima di calarli nell’acqua bollente.

Quando, col tempo, è divenuta impresentabile non me la sono sentita di buttarla. Ho chiamato un falegname e le ho fatto rifare le gambe e il sottopiano di un bel legno rossiccio. La lastra, molata e lucidata dal marmista, sembra nuova: Cenerentola ha baciato il principe ed è divenuta principessa. E’ su quella che a tutti noi piace mangiare, nell’intimità della cucina, quando siamo non più di sei persone.

Scene e rituali.

Le grandi occasioni conviviali sono accompagnate da una serie di adempimenti. Nei giorni precedenti le feste o le occasioni di incontro con i familiari non può mancare una fase preparatoria di cui è parte importante la visita al mercato. Naturalmente in occasioni solenni come le feste di fine d’anno non basta il mercatino rionale ma è necessaria una ispezione a qualcuno dei mercati della tradizione romana. Ormai quello di Piazza Vittorio si è trasferito in medio oriente e l’unico che regga ancora è quello di Campo dei Fiori, per la sua particolarità; in alternativa sono rimasti quello di Trionfale o quello grande di Monte Verde, per la freschezza delle verdure e l’ampia possibilità di scelta.

Il mercato di Campo de' Fiori a RomaIndipendentemente dalle operazioni di approvvigionamento è la visita al mercato che è divenuta essa stessa una specie di cerimonia cui non voglio mancare. Mi riempie gli occhi lo spettacolo di tutte quelle verdure, quegli ortaggi, quelle frutta che non sono solo cibo ma colore, profumo, calore, bellezza forgiata da una mano che non conosce limiti o barriere nella sua espressionealos kai agazos, bello e buono dicevano i greci per esprimere l’ideale della virtù: ebbene non c’è bisogno di sbattersi tanto per trovarli insieme, basta raccogliere un grappolo d’uva o una pesca dal banco del mercato, bearsi con l’armonia delle sue forme ed aspirarne il profumo!

Si, è vero, in questi giorni di vigilia tutto costa più del solito ma non è tanto per comprare che vado lì quanto per vedere lo spettacolo, che non ha prezzo ma si può godere gratis, ed io amo respirare quei profumi e godermi quella vista, quei suoni, quei richiami, quella vita che mi frulla intorno.

Mi rendo conto che il modo di vivere la vigilia può essere profondamente diverso per ciascuno di noi. Per me ora è un’attesa passiva, vissuta intensamente solo nel pensiero, nel mondo interiore, solo con me stesso. Per mia moglie questi invece erano giorni di intensa, felice attività. Era un’ottima cuoca e la sua era una cucina di sapori forti, fatta di piatti tradizionali rivisitati dalla sua esperienza, e le bastava appena una indicazione per realizzare una pietanza che non aveva mai fatto, che anche se non le riusciva perfetta al primo colpo sicuramente restava una cosa gradevole da mangiare. I suoi figli più o meno hanno preso da lei e in cucina se la cavano tutti, ma quando Il tacchino è pronto!durante le feste venivano a casa della madre avevano grandi aspettative e la sua felicità era quella di sorprenderli ogni volta con qualcosa di inaspettato. Cominciava a trafficare giorni prima per procurarsi gli ingredienti e organizzare ogni cosa, e il pranzo cominciava gradualmente a prendere forma, prima nella sua mente e poi nel frigo. Quelle giornate di vigilia che per me sono sempre state di riflessione e di memoria per lei erano di attività febbrile. Ahimè, se fosse dipeso da me saremmo stati costretti ad andare tutti in trattoria.

Anni fa capitò in casa mia in una occasione simile una bambina che proveniva da un ambiente e da una condizione che questa società dello spreco e dell’abbondanza neppure immagina possa esistere a due palmi da casa nostra. Si era a cena, e a un tratto in lei prevalse la curiosità sull’appetito, smise di masticare e pose a mia moglie una domanda facile facile, che mi fece passare un brivido nella schiena: ‘Concetta, ma davvero tu cucini tutti i giorni?

Quando si è giovani si mangia tanto, si mangia volentieri e si mangia per il piacere di mangiare, e c’è pure la competitività fra gli amici per stabilire chi è capace di mangiare di più, di bere di più, chi regge meglio l’alcool. Si va volentieri insieme al ristorante, se ne provano sempre di nuovi, si cerca la buona cucina e l’ambiente accogliente. Questa fase ora è passata per me. Col tempo per forza di cose si diventa selettivi, più attenti ai limiti imposti da un minimo di riguardo per la propria salute, ma quelli che sono i desideri profondi, i gusti essenziali, gli impulsi primordiali non vengono sostanzialmente alterati dal condizionamento dovuto all’età.

Un buon bicchier di vino Pane e olioPuò sembrare strano, ma se dovessi citare i cibi capaci di suscitare ancora in me le emozioni gastronomiche più violente, tali da soddisfare al meglio qualunque mio appetito, vi parlerei di: pane fresco di forno da inzuppare in un piatto dove siano olio e aceto, di un pezzo di formaggio del pastore, di un buon bicchiere di vino rosso. Se poi dovessi ordinare un banchetto regale, a questi semplici cibi mi basterebbe aggiungere un pezzo di agnello alla brace. Ecco: se fossi condannato alla pena capitale sarebbe questo l’ultimo pasto che chiederei per dare addio alla vita.

Se ben rammento qualche vecchia lettura, per esempio quella sulla cena di Emmaus, o su qualcun’altro di quei conviti citati dalle fonti delle nostre tradizioni più remote, mi sembra che tutto sommato giriamo ancora lì intorno. Ammetto senza reticenze di essere un terrone inveterato. I miei alimenti fondamentali sono stati, sono e saranno sempre i tre prodotti della agricoltura mediterranea, pane olio e vino, con buona pace dell’amico diabete.