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Non possiamo non dirci cristiani!

Forse il 1950, lessi sul Messaggero un articolo di Benedetto Croce ....
mercoledì 2 dicembre 2009 di Michele Penza

Argomenti: Attualità
Argomenti: Opinioni, riflessioni


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Una mattina di tanti anni fa, sarà stato forse il 1950, lessi sul Messaggero un articolo di Benedetto Croce così bello che provai il bisogno di ritagliare per conservarlo nel portafoglio dove è rimasto per molto tempo fin quando, ormai logoro e consunto alle piegature, è divenuto illeggibile. Si trattava di uno di quegli scritti che ti aprono la mente e fanno luce su questioni di grande importanza che, così come aveva colpito me, ugualmente ha suscitato un’eco grandissima in tutto il mondo della cultura.

L’articolo s’intitolava appunto ‘Non possiamo non dirci cristiani’ e faceva chiarezza sulla questione del rapporto dell’uomo europeo contemporaneo col cristianesimo, inteso globalmente come fatto culturale a prescindere dal punto di vista specificamente religioso.

L’impostazione stessa del titolo apriva una finestra sul contenuto, poiché l’approccio non era quello di un’adesione totale a specifici valori religiosi, e nemmeno sosteneva Croce che siamo cristiani in quanto battezzati o nati in una certa area geografica, ma evidenziava il dato di fatto oggettivo che appartiene a tutti noi, ancorché agnostici o atei, una medesima cultura, una stessa sensibilità, in una parola una unica civiltà. Ci piaccia o no, credenti o meno non importa, siamo tutti gocce di uno stesso fiume che scorre in un alveo profondo e, pur nella nostra diversità e nella nostra individualità, ne abbiamo in comune la trasparenza, la temperatura, la salinità, la flora batterica. Potremmo completare la metafora aggiungendovi che siamo acque che provengono dal medesimo ghiacciaio e sono state filtrate in secoli di storia dalle stesse rocce.

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Benedetto Croce

Mi è subito tornato alla memoria quello articolo in occasione della recente sentenza di una alta magistratura internazionale che imporrebbe di togliere dalle nostre aule scolastiche il crocefisso.

Confesso (mea maxima culpa!) che non ho della magistratura in generale, come istituzione umana, un grandissimo timore reverenziale e lo ho anche manifestato in un altro testo dal tono un po’ scherzoso titolato “Proposta per una riforma integrale della magistratura”, e questo anzitutto per una buona ragione, perché le istituzioni sono in sé contenitori vuoti, sono fatte dagli uomini, che nel corso della vita ho avuto modo di conoscere un po’. Giudicare i propri simili è funzione che contiene in sé un elemento di presunzione. Se proprio te la senti di giudicare gli altri dovresti almeno in qualche modo esserne al di sopra, il che non è così facile. Concettualmente appare prerogativa più divina che umana, e in realtà chi cerca la Giustizia non la incontrerà mai, troverà in sua vece, ad esempio, il giudice Pasqualetti. Può darsi che costui funzioni bene come si può dare il contrario. Nel primo caso potremo esprimere un giudizio positivo sulla istituzione, ma in caso contrario la nostra opinione in merito sarà legittimamente diversa. Sospendiamo perciò la manifestazione di ogni valutazione entusiastica a priori e a prescindere, e prima di parlarne consideriamo i frutti della attività di questi signori.

Cosa hanno combinato questa volta? Addirittura stabilito un risarcimento dei danni lamentati dai promotori della azione, che spero consistano solo nelle spese legali ma se ciò volesse significare che la presenza del crocifisso in una aula scolastica ha di per sé prodotto un danno economico a qualcuno ci sarebbe da chiudere senz’altro il discorso per occuparci di cose e di gente più serie. A parte i magistrati che vivono nel loro mondo particolare per cui non mi sorprendo mai, qualunque cosa sostengano, mi domando a chi tra la gente normale possa dare fastidio il crocifisso. Quale segno distintivo della nostra comune civiltà europea nessuno ce lo può vietare: chi non lo gradisce si volti da un’altra parte, ma non possiamo eliminarlo per far cosa gradita a lui. Quale semplice simbolo religioso voglio ricordare che per gli islamici, ma anche per gli ebrei, Cristo non è più figlio di Dio di quanto lo siano tutti gli altri uomini, ma è tuttavia un profeta da onorare e da rispettare e non da osteggiare. E, in effetti, le manifestazioni di insofferenza non provengono da loro quanto da gente nostra che penso colga un pretesto per cercare una qualche visibilità.

In realtà non c’è alcun bisogno di drammatizzare la cosa più del necessario. Non dobbiamo sentirci assediati perché nessuno minaccia la nostra identità dall’esterno. Annibale non è alle porte, casomai è dentro le porte perché i problemi nascono dalla ignavia e dalla inadeguatezza di alcuni europei, dentro e fuori le istituzioni.

Se il crocifisso non ci fosse mai stato nelle aule non avrebbe senso fare oggi una battaglia per mettercelo che acquisterebbe un significato inutilmente provocatorio, ma poiché vi è sempre stato e costituisce una nostra tradizione ed esprime, come bene ha evidenziato Croce, un segno distintivo della nostra cultura e della nostra umanità, anch’io che sono agnostico avverto questa sentenza come una prevaricazione fastidiosa e condivido l’opinione di coloro che invitano a non cedere a una imposizione che viene da un organismo giurisdizionale talmente superiore che prima di ora non ci eravamo neanche accorti che esistesse.