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IL GENERALE IN VAGONE

Un racconto di viaggio nell’Unione Sovietica
martedì 2 dicembre 2008 di Arturo Capasso

Argomenti: Ricordi
Argomenti: Racconti, Romanzi


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Da Mosca a Odessa avevo viaggiato in vagone letto e nello scompartimento accanto al mio c’era un generale con un colonnello. Il generale s’era messo in elegante pigiama e da solo, di tanto in tanto, passeggiava nel corridoio del vagone.

La vettura ristorante era sempre piena di gente che beveva birra o vino; le cameriere rifiutavano di servire chi era già brillo. La lista delle vivande era decente alla partenza, dopo poche ore si assottigliò e all’indomani c’erano solo brodaglie di pa¬tate e formaggi.

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II servizio era affidato a due donne di oltre cinquanta anni, che indossavano grembiuli sudici e trasandati.

Si davano da fare quando il treno si fermava nelle piccole stazioni: vendevano pane, uva in pacchetti da mezzo chilo e caricavano in gran fretta sacchi di patate, contrattando poi per le mele, le pere, la verdura.

Al ristorante s’andava a fornire di bottiglie chi voleva passare il viaggio in modo più allegro, se non da ubriaco. Venne anche il colonnello dello scompartimento vicino al mio e sedette al tavolo di due ragazze.

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Queste sembravano spigliate e parlavano con cordialità; erano con un uomo di nome Ivan.

Il colonnello si alzò, comprò del cognac, fece un cenno alle due e uscì. Si avviò con le ragazze verso lo scompartimento dove stava il generale. Ivan seguiva a distanza; il colonnello aprì la porta e vi spinse le due. Richiuse la porta.

Ivan vide, si fermò, attese. Le amiche non uscivano; bussò e intravide il generale, che era vestito con tanto di grado in vista.

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Chiese alle due di uscire, ma il colonnello richiuse la porta con autorità. Ivan cominciò a bestemmiare, andò nella vettura ristorante e si tirò dietro un ubriaco: lo accompagnò vicino allo scompartimento dove stavano le amiche che l’avevano abbandonato: aprì la porta, ve lo gettò dentro. Era dopo pochi attimi fuori, cacciatovi dal colonnello.

Allora Ivan bestemmiò ad alta voce, disse che così non andava. La conduttrice, sapendo che dentro c’era un generale e che non l’avrebbe spuntata:

- Compagno, tu non sei di questo vagone.
- È vero, ma che c’entra?
- Vattene nel tuo vagone e non dare molestia.
- E quelle due là dentro, le lascio stare?
- Ci sono, significa che ne hanno piacere.

Ivan torna verso il suo vagone, lo seguo. Apre con forza le porte e le fa sbattere con rabbia; riferisce l’accaduto ad un’’altra amica: questa si alza e va dove stavano le due.

Ne esce dopo mezz’ora, sola. Il colonnello era uscito per la retata, aveva portato una buona caccia al generale; in quattro la notte sarebbe trascorsa meglio.

Ricordo che, durante il percorso da Tallin a Leningrado, compiuto mesi addietro, capitò un gruppo di ufficiali nel vagone in cui mi trovavo. Uno di questi a notte era più ubriaco degli altri e cominciò a discutere sulla guerra, gli armamenti e il lavoro che faceva.

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Mi chiese poi come si viveva in Italia, se un tenente colonnello come lui stava bene e cosa pensassi dell’ Urss. Cominciammo a parlare e lui sembrava franco, d’una franchezza e d’un coraggio che solo la vodka da.

Gli altri lo presero di peso e lo porta¬rono via. Ma io attesi fuori.

Mi dissi: fra poco uscirà di nuovo; infatti, uscì. Non mi chiese altro, si diresse verso la conduttrice perché voleva dormire con lei. Questa cercò di fargli capire che doveva sì dormire, ma solo. Allora il tenente colonnello s’infuriò e chiese il quaderno del rapporto. L’altra conduttrice si associò alla prima e insieme gli dissero che c’era tempo e che avrebbe potuto farlo l’indomani; ma lui deciso: « No!, adesso ».

Gli diedero una matita; sarebbe stato facile cancellare il rapporto d’un ufficiale ubriaco, che con la sua autorità voleva obbligare la hostess del vagone a passare la. notte con lui.

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Facevo poi dei giri esplorativi in tutti i vagoni; quelli di terza classe erano dei veri dormitori pubblici. Riversati sui sedili-letto, alcuni con lenzuola, tutti in abiti discinti

Uomini e donne con visi grossi e addomi giganteschi. Vecchi e bambini che dormivano accanto ai genitori.

Un puzzo forte, di roba sporca, di carne grassa e di bevande. Ma dormivano. Il treno col suo rullio accompagnava il sonno. C’erano operai, contadini, soldati, quest’ultimi costretti a stare sotto le armi per tre lunghi anni, con due sole licenze.

I burocrati e gli ufficiali dormivano invece in scompartimenti a due e quattro letti, avevano aria condizionata, lenzuola nitide e materassi a molle.

Anch’io stavo bene, ma i biglietti li aveva pagati l’Università

 

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