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MASTRO DON GESUALDO AL TEATRO QUIRINO

di Alessandra Millefiorini
mercoledì 4 dicembre 2019

Argomenti: Teatro


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Simone GUARNERI porta in scena un memorabile “Mastro Don Gesualdo” (regia di Guglielmo Ferro) (Teatro Quirino, 03-08 dicembre)

“Mastro don Gesualdo”, portato in scena dall’ Associazione Culturale Progetto Teatrando, interpretato da uno straordinario Enrico Guarneri è sicuramente uno spettacolo da vedere per diversi motivi. Il primo di carattere storico-letterario.

Mastro-don Gesualdo è uno dei capolavori di Giovanni Verga.

Il romanzo è infatti incentrato sulla figura di Gesualdo Motta, un uomo che nel corso della sua vita sacrifica ogni affetto al denaro ed alla “roba” ritrovandosi alla fine solo e drammaticamente sconfitto dall’assenza di affetti.

Gesualdo Motta è un manovale dal cervello fino soprannominato dai suoi compaesani "mastro-don". Si tratta di un nomignolo dispregiativo che sottolinea la natura di parvenu di Gesualdo, una via di mezzo fra "Mastro" (qualifica del mastro manovale) e "Don" (riservato a signori e proprietari terrieri). Gesualdo Motta da semplice muratore diventa prima imprenditore, poi proprietario terriero e infine marito di una nobildonna, decaduta. L’essere sospeso tra due mondi determina il suo conseguente isolamento, poiché viene odiato ed invidiato sia dai paesani di basso ceto (da cui proviene), sia dal ceto nobiliare, che lo considera solo un grezzo arricchito.

La storia racconta le fasi più importanti fasi della vita del protagonista: il matrimonio con la nobile Bianca Trao, il successo economico, l’inizio del declino di Gesualdo che coincide con la morte di Bianca.

Anche Gesualdo si ammala a causa dei dispiaceri e delle delusioni non solo familiari ma anche legate ai cambiamenti sociali. Si paventa infatti una rivoluzione da parte dei villani che rivendicano le terre comunali.

La sua “roba” è minacciata da coloro che appartengono alla sua classe sociale di nascita. Non vè’ peggior padrone di chi è stato servo tant’è che tutti gli hanno voltato le spalle. Il romanzo, oltre a mostrare un’aristocrazia decadente, presenta una contrapposizione tra successo economico-sociale ed affetti familiari. Il protagonista è un uomo avido ed ambizioso i cui tratti salienti sono l’intraprendenza borghese, l’individualismo, il materialismo e la fine degli ideali, tanto che l’accaparramento della "roba" e l’ascesa sociale segnano una corsa verso l’alienazione e la solitudine.

Il secondo motivo per cui vale la pena vedere lo spettacolo è certamente per apprezzare la regia sapiente, moderna e dinamica di Guglielmo Ferro, che regala agli spettatori una rappresentazione della storia in continuo movimento. Senza alcuna caduta di ritmo. Tant’è che si ha la sensazione di rileggere il romanzo tutto d’un fiato. La scenografia essenziale, mobile e mutevole sottolinea la narrazione così come gli inserimenti musicali nei momenti di maggiore pathos.

Il terzo motivo per cui vale la pena recarsi a teatro è per emozionarsi profondamente di fronte alla vita che va in scena.

Impossibile non lasciarsi prendere da Gesualdo/Guarneri che, ormai alla fine dei suoi giorni, rivela la sua umanità e chiede all’algida figlia Isabella di donare ai due figli avuti da Diodata un pezzo di terra. E ricorda teneramente la fedele Diodata, creatura senza passato e senza futuro, che camminava sotto la poggia, a piedi nudi, guardando il cielo. Quasi a sfidarlo.

In fondo, Gesualdo è un uomo come tutti gli altri.

 

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