INFORMAZIONE
CULTURALE
Marzo 2024



HOME PAGE

ARCHIVI RIVISTA

Articoli on-line 7647
Articoli visitati
5086412
Connessi 9

INDICE GENERALE
INDICE MENSILE
RUBRICHE
PASSATO E PRESENTE
EVENTI
ITINERARI E VIAGGI
AVVOCATO AMICO
COSTUME E SOCIETA’
QUADRIFOGLIO
TERZA PAGINA
LETTURE CONSIGLIATE
CULTURA
SCIENZA E DINTORNI
FILATELIA
ARTE E NATURA
COMUNICATI STAMPA
MUSICA E SPETTACOLO
SPORT
ATTUALITA’
LIBRI RECENSITI
AUTORI
Argomenti

Monitorare l'attività del sito RSS 2.0
SITI AMICI

a cura di
Silvana Carletti (Dir.Resp.)
Carlo Vallauri
Giovanna D'Arbitrio
Odino Grubessi
Luciano De Vita (Editore)
On line copyright
2005-2018 by LDVRoma

Ultimo aggiornamento
27 marzo 2024   e  



Sito realizzato con il sistema
di pubblicazione Spip
sotto licenza GPL

DAI BRIGANTI BORBONICI AL RE DI SCOZIA

Stefano Angelucci Marino ed il suo Macbett abruzzese
domenica 8 giugno 2008 di Gianandrea de Antonellis



Segnala l'articolo ad un amico

Quando nel 1972 Eugéne Ionesco (1909-1994) affrontò, come ultima sua opera teatrale, il tema shakesperiano (che sarebbe stato ripreso, due anni dopo, da Testori per la seconda opera della Trilogia degli Scarrozzanti) deformò il nome dell’eroe eponimo da Macbeth in Macbett proprio per sottolineare la differenza tra le due concezioni opposte che animavano le due diverse scritture.

Nell’opera originale il finale è positivo e lo sventurato re lascia il trono ad un successore più degno. Nella versione di Ionesco, “anarca” o “anarchico di destra”, critico nei confronti dei regimi comunisti (egli

JPEG - 122.2 Kb
Un attore
Giuliano Bonanni

stesso era fuggito dalla Romania) in un momento in cui l’intellighenzia occidentale era invece prona nei confronti delle esperienze marxiste (che peraltro non viveva sulla propria pelle), il successore di Macbett, Macol, si presenta come peggiore del tiranno appena ucciso.

La versione del lavoro di Ionesco presentata da di Stefano Angelucci Marino, che cura progetto scenico, testo e regia, prosegue nell’opera di rimodernamento iniziata dal drammaturgo franco-rumeno: la tirata finale di Macol non è brutale come nell’originale, ma più sottile ed inquietante, canonizzando l’italica propensione al “tutto cambi affinché nulla cambi” e coronando una battaglia per il trono che durante tutta la pièce ha avuto il sapore di una campagna elettorale.

Non a caso il personaggio di Cawdor (evocato in Shakespeare, concretamente presente in Ionesco), mutato il proprio nome in Candor (con evidente parodia del a sua volta parodico personaggio volteriano) sentenzia, a proposito della ricerca della verità: «La ragione del vincitore è sempre la migliore». Con riferimenti incrociati alla recente politica (rigorosamente con la “p” minuscola, sottolinea il programma di sala, visto che si riferisce alla bassa gestione del potere, volto alla reiterazione dello stesso tramite il voto di scambio e non certo al miglioramento della cosa pubblica) abruzzese e friulana (la produzione del Teatro del Sangro/Compagnia I guardiani dell’oca si avvale del contributo degli attori dell’Academia de gli Sventati).

JPEG - 23.2 Kb
Regista e attore
Stefano Angelucci Marino

Ma Pallano diventa simbolo di tutto il Belpaese (e forse di qualcosa di più, se il grido dei congiurati «Pallano, Nazione, Rivoluzione!» sostituisce il nome Europa con quello della località abruzzese): sembra che con questa sua ultima opera Stefano Angelucci Marino giunga all’imo del proprio pessimismo. Egli, che qualche anno fa celebrava l’epopea di Leonzio De Vitis, capomassa durante l’invasione francese del 1799, oggi ci sembra dire che è ormai tramontato il tempo degli eroi e che il futuro non ci può portare alcun miglioramento, nonostante tutte le tenzoni elettorali (e le conseguenti promesse destinate ad essere eluse) possibili ed immaginabili. Non a caso le grida di guerra vengono trasformate nei (già logori) slogan politici dell’ultima campagna elettorale, dal federalismo fiscale ai valori che non sono in vendita, dal “ma anche” del trionfante buonismo alla da tutti sospirata speranza dell’«io c’entro» (nelle stanze del potere, ovviamente).

Assieme a Stefano Angelucci Marino, cui spetta il ruolo di Macbett, si alternano sulla scena essenziale realizzata da Paola Dell’Aquila gli attori Giacomo Vallozza, Giuliano Bonanni, Chiara Donada, Carmine Marino, Tommaso Di Giorgio, Antonio Crocetta, Fabio Ventura e Gianluca Castellano, talvolta presenti in più personaggi grazie alle maschere di Stefano Perocco di Medusa (e va ricordato il lavoro di maschera di Giuliano Bonanni, che si occupa anche del training fisico e vocale).

La versione abruzzese della tragedi-commedia ioneschiana conclude una trilogia che aveva già “trasferito” a Pallano (in provincia di Chieti) Re Ubu e l’ispettore generale di Gogol: sia la localizzazione che il trasferimento in epoca contemporanea non nuocciono allo spirito del lavoro originale. Del resto, il deliberato fine di Stefano Angelucci Marino era quello di non di “mettere in scena”, ma di “mettere in vita” il testo di partenza: “resuscitarlo” anziché “recitarlo”. Un’operazione perfettamente riuscita e che, chiudendo questa trilogia, dovrebbe aprirne un’altra, di matrice dannunziana, che si annuncia interessante quanto innovativa.