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REDDITI IN INTERNET. Perché no?


martedì 13 maggio 2008 di Pietro Fabbricatore

Argomenti: Attualità
Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Politica


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Il nostro bel paese non finisce mai di stupire! Perfino gli italiani (che pure hanno sviluppato una ragguardevole immunità per qualsiasi forma di scandalo) sono rimasti sorpresi per quest’ultimo caso.

Come noto il 30 aprile il ministro delle finanze uscente Visco, ancora in carica per pochi giorni prima dell’avvento del nuovo governo, ha fatto pubblicare su internet i redditi dichiarati nel 2005, di tutti gli italiani.

Sebbene incognito e proditoriamente realizzato in un giorno "morto" (cioè la vigilia del primo maggio, in cui gli italiani tradizionalmente fanno il ponte e se ne vanno al mare), il fatto non è sfuggito agli stakanovisti del computer, che hanno incominciato subito a scaricare tutti i dati dal sito del ministero, che si è prontamente bloccato per l’intasamento. La cosa è durata meno di 24 ore anche perché, nonostante il primo maggio, il sito è stato bloccato poi ufficialmente a causa del polverone di proteste che si è sollevato da tante parti, compreso il Garante della privacy, che era ignaro di tutto.

Immediatamente, secondo il più perfetto stile italiano, è iniziata la ridda delle polemiche tra i favorevoli e i contrari; gli sciacalli dell’informazione hanno fatto subito il loro show televisivo, e i soliti VIP sono stati intervistati per dire la loro. L’ex generale della Guardia di Finanza, Speciale, ha detto che questa è una mossa di Visco per mettere in difficoltà il nuovo governo, il Codacons (chissà perché) ha denunciato il ministro, etc. etc.

La cosa per me sorprendente, è che le proteste sono arrivate dalle parti da cui meno me le aspettavo, cioè, come è costume degli italiani, da tutte le direzioni indiscriminatamente.

A questo punto devo dire subito che io sto dalla parte di quelli che ritengono la pubblicazione essere una cosa buona e giusta, ed è per questo che mi sento stimolato ad esporre le ragioni della mia convinzione, naturalmente rivolto solo ai contrari, e qui si va un poco nel filosofico.

I contrari (sia ricchi che poveri) sono tutti inviperiti perchè qualcun altro possa venire a sapere quanto guadagnano. Ma, dico io, che male c’è ad essere ricchi o poveri? E sufficiente essere ricco o povero per essere discriminato e odiato? Non bisognerebbe guardare alle caratteristiche personali?

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Soldi.. soldi.. soldi..

Incominciamo col dire che la ricchezza non è assoluta, ma relativa. Noi siamo considerati ricchi o poveri a seconda di chi ci valuta, e già per questo la classe non è ben definita. Ma poiché evidentemente molti stimano più il danaro in sé, che le persone che lo posseggono, gli sciocchi (se ricchi) acquistano il prestigio che da soli non sarebbero in grado di conquistare, oppure (se poveri) ossequiano acriticamente i ricchi fornendo loro quel rispetto che essi portano al denaro, non alla persona che lo ha.

Insomma o ricchi, o poveri, gli sciocchi restano sciocchi. Soprattutto per questo mi sembra importante conoscere la fonte della nostra ricchezza, e se questa è una fonte onesta, derivante dal lavoro o dalle nostre capacità o talenti, non vi è alcuna ragione per vergognarsene, anzi bisognerebbe ostentarla come prova a conferma della nostra bravura. In passato questo concetto fu espresso anche dai calvinisti e dai protestanti, che non vedevano nulla di malefico nel far soldi col proprio onesto lavoro. Se essa invece proviene da rapine, furti, truffe, sfruttamenti, corruzione e malcostume, allora è giusto pretendere il segreto.

I grandi cantanti, i pittori, i bravi attori, gli imprenditori onesti, i calciatori e gli sportivi sono notoriamente ricchi e devono il loro benessere alle loro capacità, e nessuno li invidia o li maledice per la loro ricchezza. I boss della mafia e della camorra sono anch’essi molto ricchi, ma di certo essi sono i più ferventi sostenitori della legge sulla privacy, che secondo me è una legge completamente inutile, e vantaggiosa solo come scusa per i morosi, i reticenti e i ladri.

Da queste considerazioni si dovrebbe dedurre che tutti i contrari hanno qualcosa da nascondere, ed infatti è proprio così. Da noi anche i super-benestanti per proprio merito, si affaccendano per esportare i loro guadagni all’estero, e gli italiani gli danno perfino ragione, vista la miserabile classe politica che ci governa e ci spoglia. Ma la realtà purtroppo è un po’ più squallida.

Ad essere stupidi non sono i governanti, ma la popolazione. Questo è un dato di fatto: se così non fosse non avremmo al potere tanti incompetenti, e non ci si dovrebbe vergognare della pubblicazione del nostro reddito, che, ancorché piccolo, almeno in teoria certifica la nostra onestà.

Tranne naturalmente nei casi (e questa vicenda li conferma tristemente) in cui si denuncia poco e si guadagna molto, e si teme che lo si scopra. Ecco perché ci sono state tante proteste anche fra i ceti meno abbienti, impiegati e operai che non avrebbero nessuna ragione di lagnarsi della notorietà dei loro redditi.

Vi sono molte ragioni per questa avversione, e tutte negative: si teme l’invidia spicciola del vicino di casa, si teme la delazione per le evasioni fiscali anche minime, si teme la protesta dei dipendenti trattati in modo diseguale, si inveisce anche solo per ragioni politiche.

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Il modello per la dichiarazione dei redditi

Nessuno si ricorda che nelle nazioni scandinave, da noi guardate con invidia e ammirazione, ma anche con malinconica rassegnazione per l’utopica irraggiungibilità, questa usanza esiste da tempo. Quante volte ci siamo meravigliati sentendo dire che il re di Norvegia andava al lavoro in bicicletta ? E questo comune senso di onestà dei nordici non potrebbe forse derivare da questo tipo di trasparenza?

Invece noi siamo il paese delle mafie, dell’immondizia, dei furbi, degli evasori, della criminalità diffusa e dei governi corrotti e indagati. Siamo famosi per questo nel mondo, e poi si scopre che sono tanti gli italiani che si indignano se semplicemente si viene a sapere il loro reddito, peraltro dichiarato da loro stessi (chissà, forse infedelmente).

Ma al di là dal fatto se sia bene o male pubblicare, la vicenda stessa è esemplare del costume italiano. Un governo serio avrebbe comunicato con grande anticipo l’intenzione, e si sarebbe accertato del consenso di tutti, non lo avrebbe fatto di soppiatto, in silenzio, approfittando di un giorno di generale disattenzione. Ma, una volta presa una decisione, un governo serio non la avrebbe ritirata come una marachella, ma avrebbe sostenuto la giustezza di tale provvedimento (avendola ben ponderata prima). Si ha l’impressione quindi che in Italia nessuno sappia bene quel che fa e perché lo fa. Ma fino a quando gli italiani dovranno sopportare un simile stato di cose ? Fin quando la nostra selvaggia cultura è come è oggi, approssimata e venale.

Insomma è sempre la stessa solfa, noi sopportiamo il marcio, perchè siamo marci noi.

Sul fatto è divertente guardare i blog del popolo internet e leggerne i vari commenti e le reazioni. Dato che tutti quelli che avevano scaricato i dati, li hanno messi di nuovo in rete, qualcuno dei contrari ha pensato anche di infilarne diversi falsi, per depistare quelli tra i favorevoli, che, essendo arrivati tardi, cercano ancora di scaricarli. All’interno di questi archivi, invece dei dati dei redditi, troverete insulti e parolacce, indirizzate sia a voi che leggete, che al ministro e alla classe politica in generale.

Alcuni traffichini invece hanno offerto in vendita i dati da loro scaricati gratuitamente, mentre altri offrono somme per avere i dati della loro città. Intanto sui giornali già appaiono le prime minacce ai cittadini, che rischierebbero fino a tre anni di carcere se faranno uso di questi dati (sia ben chiaro, avuti legalmente dal ministero delle finanze ). In breve : non si capisce niente.

La procura di Roma ha aperto la solita inchiesta per indagare sulla violazione della legge sulla privacy. Il balletto all’italiana continua. Vedremo come finirà.