Odessa, quanti ricordi. Fu l’ultima città che visitai quando nel ’61 tornai dall’URSS. Vi giunsi in un pomeriggio assolato, dopo ventott’ore di treno; avevo lasciato definitivamente la capitale ed Anatolij Vickov m’aveva accompagnato alla Kievskaja, aiutandomi a caricare i cinquantatré volumi della Grande Enciclopedia Sovietica.
Man mano che il treno si spingeva nelle calde regioni, un nuovo paesaggio si presentava ai miei occhi: piccole case senza tetti inclinati come al Nord, panni a sciorinare, bambini a giocare negli orti, bancarelle, uva in abbondanza.
A sera la gente si tratteneva fino a tardi; lungo le strade principali c’erano dei “bassi” con televisori accesi, le donne preparavano da mangiare e gli uomini erano seduti, in pigiama. Il ragazzo usciva con una bottiglia e si recava all’angolo della strada, presso il chiosco d’acqua gassata; a volte aveva una specie di selz che portava a caricare di gas.
- Odessa
- La città vecchia
Erano gli ultimi giorni che trascorrevo in URSS; sentivo un certo rammarico a dover lasciare quel Paese; chissà se sarei tornato. Dopo due giorni la Latvija sarebbe salpata, riportandomi in Italia attraverso la Turchia e la Grecia.
I pochi alberghi di Odessa, tutti costruiti prima della Rivoluzione e perciò in numero insufficiente, erano pieni di turisti stranieri e sovietici. Chiesi se l’Inturist di Mosca aveva riservato un posto per me e risposero di no. ( E non poteva essere altrimenti, perché non avevo dato nessuno incarico).
- Odessa
- La famosa scalinata Potemkin
Mi dissi sorpreso della dimenticanza e pregai di darmi comunque una camera, perché non avrei potuto dormire due notti su una panchina del parco.
Andai così all’Hotel Krasnaja . A sera scesi nel ristorante; c’erano poche persone e l’orchestrina suonava. Piú tardi la grande sala si riempì e bisognava attendere per ordinare, mangiare, pagare.
Sedevano a un tavolo, sulla sinistra, due africani; non riuscivano a farsi capire, perché parlavano solo inglese e la cameriera non conosceva quella lingua. Li aiutai: volevano due bicchieri di latte. La cameriera si consultò col direttore: per la prima volta aveva avuto una simile richiesta. Il direttore disse che poteva andare , ma c’era un’altra difficoltà: loro volevano mezza bottiglia, mentre il latte si vendeva a bottiglie intere. Feci rilevare che si trattava di stranieri e che si poteva fare uno strappo alla regola. Sedetti al loro tavolo e prendemmo insieme un caffè. Erano somali, imbarcati su una nave inglese che trasportava zucchero cubano in URSS.
- Odessa
Mi dissero che nel porto c’erano molte navi provenienti da Cuba e che le operazioni di scarico venivano svolte con rapidità. M’invitarono poi nel club dei marinai, a pochi passi. Entrammo, c’intrattenemmo nel salone centrale. C’erano dei tavoli con giornali comunisti, dei divani. Seduti, degli ufficiali svedesi in conversazione con alcune ragazze. Cominciai a sfogliare un giornale, i due somali sedettero. Mi si avvicinò una ragazza e mi rivolse la parola in inglese; ci spostammo in un’altra sala, chiesi se la biblioteca fosse aperta. E lo chiesi in russo: non l’avessi mai fatto! Mi fu subito chiesta la nazionalità e risposi che ero italiano.
Dopo poco venne una donna sui cinquanta con un’altra ragazza. La donna, puntando l’indice verso di me, le bisbigliò: eccolo là.
La ragazza in italiano:
Lei é italiano?
Sí.
Non é possibile.
E perché?
Perché non ci sono marinai italiani nel porto.
E chi le ha detto che sono marinaio e che vengo dal porto?
Si rivolge alla donna e le dice in russo: “ questo non é italiano”. Chiama il guardiano di turno e indispettita si allontana.
Le altre ragazze, che avevano seguito il dialogo, pensarono bene di rivolgersi altrove.
- Odessa
- Il porto
Arriva il guardiano, basso, dall’aspetto deciso.
Senta, é pregato di uscire.
Ma lei chi é?
Sono il guardiano.
Piacere; ma qui avete un direttore?
Sí, ma lei esca.
Mi faccia prima parlare col direttore.
Anticamera, presentazioni, spiegazioni.
Non é per me, ma per i due amici somali; avete dimostrato come si trattano gli ospiti: il guardiano ad alta voce m’ha imposto di uscire. Insomma, ero venuto a prendere qualcosa, o ero stato invitato?
Facciamo le nostre scuse, s’é trattato di un equivoco. Ritorni pure in sala e ci rimanga quanto vuole.
- Odessa
- Il Mar Nero
Ritornai. Richiamai la ragazza che per prima s’ era avvicinata a me e le dissi: “Per cortesia, se incontri la tua amica, dille che quando uno sostiene di appartenere a un dato Paese, deve pur crederci; senza basarsi solo su ciò che le comunica la polizia, potrebbe continuare a fare cattive figure”.
Prima di uscire, mi rivolgo al guardiano: “Compagno, cerchi di svolgere le sue funzioni con toni più urbani”.
Per strada i ragazzi fermavano gli stranieri , chiedevano se avevano “business” e si dicevano pronti a trattare, a comprare; mi chiesero almeno dieci volte la giacca a vento in nailon.
I parchi erano illuminati, le aiuole coperte di fiori, nessuno andava a dormire.
Al teatro si rappresentava la Carmen. I cantanti facevano del loro meglio, ma avevano la voce ingolata e stridula. Gli spettatori appartenevano alla “haute” locale, con l’aggiunta di turisti di passaggio.
Due ragazze si pavoneggiavano nei loro vestitini di cretonne con merletto agli orli; credevano di essere carine, credevano di essere eleganti e credevano di fare colpo. Proprio come le ragazze di paese, da noi, molti anni fa.