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DUE SAGGI CHE NON CAPIVANO NIENTE

FAVOLA
venerdì 15 giugno 2018 di Andrea Forte, Vivi Lombroso

Argomenti: Opinioni, riflessioni


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Una volta c’erano due saggi… ma questa in fondo non è una novità, perché c’è sempre una volta per qualsiasi cosa.

Comunque, c’erano due saggi. Ciascuno era convinto di non essere un “saggio” (o altrimenti che saggio sarebbe stato ?), ma non escludeva che l’altro potesse esserlo (o altrimenti che “saggio” sarebbe stato ?), e pertanto entrambi decisero contemporaneamente (o altrimenti che saggi sarebbero stati ?) di incontrarsi, per vedere se fosse possibile imparare qualcosa.

E così, manovrando pian pianino, determinarono che l’incontro avvenisse.

Bisogna dire che questo tipo di incontri è sempre stato alquanto problematico. Ognuno sa come sta messo (cioè come vorrebbe, o gli servirebbe), ma non sa esattamente come sta messo l’altro, che potrebbe anche essere “migliore” o “peggiore” di quanto sembri o si dica.

Tutto ciò determina mosse caute, parole soppesate, opzioni aperte, che possono risultare sciocche o profondamente significative: tutta una serie di vettori pronti a sterzare in un senso o nel suo contrario, a seconda di quel che risulti il livello dell’interlocutore…

Così insomma ad un certo punto i due si incontrarono e cominciarono il minuetto. Presero a parlare della vita, delle sorti umane, del significato universale, dell’ontologia cosmica, della relatività e così via. Giravano intorno alla “cosa”, e si giravano intorno fra loro. Niente di male in tutto questo: era inevitabile. Ed era sempre accaduto così, sin dai tempi del primo incontro fra due maestri.

Dopo aver fatto il giro (teorico) di quest’universo e quell’altro, si resero entrambi conto di stare più o meno nella stessa situazione e quindi di poter accedere al nocciolo del problema senza correre gravi rischi. Talché presero piano piano a scoprirsi, ora l’uno ora l’altro, un po’ come fanno i bambini quando più o meno si sono messi d’accordo a fare le porcherie, ma ancora non si fidano a vicenda completamene… (bella questa immagine: farà la gioia del mio psicanalista !).

Comunque sia, alla fine arrivarono al momento cruciale, cioè a porre la domanda chiara e tonda. Arrossendo fino alla radice dei capelli, un Maestro (quello teutone) chiese: Tu, perché non ti uccidi ?”. E l’altro (quello napoletano) gli rispose: “E tu, perché non lo fai ?”, arrossendo anch’egli fino alla radice dei capelli.

Come il lettore attento si sarà reso conto a questo punto, i due saggi avevano compiuto un enorme tratto del loro viaggio spirituale, ed erano arrivati al punto in cui ci si chiede seriamente che motivo ci sia per continuare a vivere, o se piuttosto non sia più utile e coerente andare a vedere cosa c’è dopo… dato che quanto c’è “qui” ormai è tutto scontato…

Resta il fatto che a questo punto i due saggi si aprirono sinceramente, svelarono entrambi i propri pensieri e le proprie esperienze, i tentativi e le meditazioni, insomma tutto ciò che li aveva alla fine portati alla conclusione che la vita non corrispondeva a ciò che si desiderava, che quella vivibile era sostanzialmente ovvia, che l’unica mossa con un qualche senso era quella di mutare stato (e quindi andare a vedere come funzionasse dall’altra parte).

Sin qui erano d’accordo. Lo erano anche sul fatto che qualche decennio di esistenza sulla Terra costituiva di fatto un microsecondo… nei confronti del Tempo in generale, e dei propri tempi spirituali in particolare. Pochi decenni di vita terrena insomma erano una cosa di ben poca importanza in confronto a quello che si poteva andare a scoprire liberandosene.

Ma qui le loro opinioni garbatamente divergevano: il Maestro teutone infatti sosteneva la tesi che tutto questo comportasse per ciò stesso il dovere di suicidarsi, il Maestro napoletano sosteneva che non lo comportasse.

Il filo del primo ragionamento era: pochi decenni hanno un’importanza quasi nulla, e quindi –se si può risparmiare tempo- bisogna risparmiarlo. Il filo dell’altro ragionamento era: pochi decenni hanno un’importanza quasi nulla, e quindi –proprio per questo- il risparmio sarebbe insignificante, dunque non può costituire un dovere… mentre invece –aggiungeva un po’ maliziosamente il napoletano –restando in vita non si può sapere: potrebbe anche andare meglio.

A questo punto il saggio teutone concluse che, pur essendo a livello di sfumature, riteneva migliore la propria valutazione e pertanto andava ad uccidersi.

Il saggio napoletano concluse a propria volta che, pur essendo a livello di sfumature, riteneva migliore la propria valutazione e pertanto andava a Napoli.

Dopo di che si abbracciarono, si dissero addio, e si dettero appuntamento nell’aldilà.

L’uno s’incamminò naturalmente verso nord e l’altro a sud.

Dopo un bel tratto di strada, ciascuno nella propria direzione, successe però che un pazzo motociclista travolse il saggio teutone, ammazzandolo praticamente sul colpo.

Nello stesso momento una bellissima macchina con autista si fermava accanto al napoletano, e dal finestrino una stupenda signora gli diceva con estrema gentilezza: vedo che sta camminando da solo sull’autostrada, ma il percorso è molto lungo prima di arrivare alla prossima stazione. Ha forse bisogno di un passaggio ?

Il napoletano sorrise. Non sapeva affatto che proprio in quei momenti il suo fratello teutone era morto, ma sapeva bene perché avrebbe accettato quel passaggio.

 

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