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Capolarato raccolta frutta

Capolarato editoriale all’ombra del Colosseo

Lo sfruttamento da parte di chi critica lo sfruttamento
domenica 1 aprile 2018 di Andrea Comincini

Argomenti: Attualità
Argomenti: Sfruttamento


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Nelle ultime settimane il mondo della cultura è stato scosso da un profondo moto di indignazione, dovuto alla triste constatazione che una nota multinazionale nel ramo della distribuzione – specialmente di libri – costringe i suoi impiegati a lavorare in condizioni al limite dello sfruttamento.

Il coro di protesta ha visto schierati personaggi noti e case editrici, riconducibili alla cosiddetta “intellighenzia”, sensibilissima per tradizione a sostenere le battaglie a tutela dei lavoratori. Improvvisamente, tuttavia – quasi inspiegabilmente – la protesta è scemata, certamente scomparsa dalle priorità, e su tutta la questione è sceso un noioso silenzio. Per quale ragione?

Qui viene offerta una possibile spiegazione.

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Iintellettuali

Una certa “sinistra da cocktail” ha abbassato i toni perché proprio tra le sue fila si nasconde uno sfruttamento di persone e risorse che difficilmente può essere eguagliato. Parte della piccola e media editoria fa profitti grazie al reclutamento di giovani sottomessi a condizioni lavorative avvilenti. Il meccanismo funziona così: un ragazzo/a decide di seguire un corso da redattore per imparare il mestiere, e successivamente, una volta completato, viene spesso indirizzato a fare uno stage in casa editrice. Fin qui nulla di strano, se non fosse che la legge obbliga a remunerare gli stagisti (nel Lazio sicuramente) con un contratto ufficiale che offre pochi spiccioli: nonostante la cifra bassissima, tanti, troppi, glissano, per non avere nessun vincolo o dovere. Molti editori reclamano il diritto a un periodo di prova gratuito per testare la professionalità del giovane, il quale dovrà a sue spese mantenersi e lavorare gratis per circa sei mesi, e sarà quindi spesso costretto a fare due lavori, uno per vivere, uno per sperare di essere assunto.

Purtroppo la speranza morirà una volta terminato l’apprendistato: dopo un lungo tirocinio, dove si è lavorato il triplo delle ore previste, o si viene licenziati, o regolarizzati con un part time, che part time non è. Bisogna essere disponibili 6 giorni su sette, per dieci ore giornaliere, con una paga ridicola. Uno sfruttamento vero e proprio basato sul ricatto della impossibilità altrimenti di mantenere la ditta aperta.

Dopo un anno di fatica e di spese, le strade sono due: o il licenziamento, o una assunzione per una ristrettissima percentuale di giovani, a condizioni terzomondiste. Quale è l’inghippo?

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Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria
Roma EUR LA NUVOLA 5-9 dicembre 2018

Bene, ciò che viene deciso dalla casa editrice pare legittimo: se il mercato non consente di assumere un lavoratore, si deve restare con il personale già esistente.

Ineccepibile, ma l’imbroglio sta che il giorno dopo un altro giovane verrà reclutato per lavorare gratis, a dimostrazione che non è il lavoro che manca, ma la volontà di stipendiare le persone regolarmente. Come se fosse un diritto aprire una azienda e non pagare chi ci lavora perché altrimenti si chiude, così molti editori campano sfruttando o mal salariando i giovani (i traduttori subiscono la medesima umiliazione: oggi alcune case editrici pretendono addirittura di ottenere traduzioni a titolo gratuito). Si immagini un bar dove il proprietario non paga i camerieri, o un industriale che non remunera gli operai perché altrimenti non potrebbe guadagnare, o li paga 3 ore pretendendo che lavorino 8: una assurdità, perché ovviamente non si ha il diritto di fare soldi sulle spalle altrui, e chi non sa creare un profitto deve giustamente chiudere.

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Multinazionali

La battaglia contro lo sfruttamento e in difesa dei diritti basilari, sostenuta a sinistra, è stata abbandonata non appena poteva essere controproducente, rivelando la vera natura di gran parte della nostra élite culturale. Perbenismo, ipocrisia, malaffare non imperversano soltanto “a destra”, ma anche fra i suoi più tenaci oppositori. Politici e intellettuali “di sinistra” nostrani, attenti a firmare ogni appello possibile, a dispensare pensieri memorabili su twitter, istagram o facebook, non appena vedono le loro tasche minacciate, improvvisamente glissano, e si ritirano in qualche terrazza romana come nel film di Sorrentino, La grande bellezza, a discutere di rivoluzione proletaria sorseggiando Martini.

Tale caporalato di fatto, drogando il mercato e consentendo a imprenditori di sopravvivere senza che facciano imprenditoria, condanna i giovani a venire spolpati e poi abbandonati a un destino di soprusi e precarietà. (Si badi bene: non si tratta di evitare il finanziamento di aziende “di interesse culturale” o patrimoni pubblici, ma di scongiurare che i lavoratori vengano sfruttati o che si crei una concorrenza sleale).

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La grande bellezza

Questa situazione è figlia di una classe culturale narcisista e spesso autoreferenziale, pronta a bollare come traditore e nemico del popolo chiunque la pensi diversamente da lei, ma poi figlia anch’essa con un sistema capitalistico disonesto e familistico, fondato su amicizie, fondi perduti, piccoli sotterfugi contrattuali, gelosie agganci politici. A differenza dell’ultimo intellettuale italiano, P. P. Pasolini, che poteva dire quanto voleva non perché “raccomandato”, oggi troppi “letterati” sono tali grazie ad abili editor o comparsate televisive, campagne pubblicitarie mirate, prodotti scritti per quel mercato che odiano, matrimoni mirati.

La speranza per il futuro è vedere crollare questa montagna di soprusi e ingiustizie, che si riversa nel sistema delle assunzioni ad ogni livello ormai, dal reclutamento accademico ai concorsi più generici, e vedere riconosciuti i diritti di tutti i veri lavoratori – che non sono quanti “fanno impresa” o “rischiano con denaro delle loro tasche” sulle spalle altrui e mostrando il pugno chiuso – ma i giovani impiegati, preparati e altamente specializzati, gli unici in grado di restituire dignità a un paese sempre più umiliato da un sistema contrattuale fondato su sfruttamento e mercificazione dei talenti.

 

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