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della mostra

TESSERE LA SPERANZA all’Aracoeli

La mostra ospitata nella basilica romana ci parla di religiosità popolare attraverso i vestiti delle Madonne e del Bambinello ricamati in oro e argento
lunedì 19 marzo 2018 di Nica Fiori

Argomenti: Mostre, musei, arch.
Argomenti: Religione


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La basilica di S. Maria in Aracoeli, con la sua inconfondibile scalinata che si erge tra Cielo e Terra, sembra proprio rispecchiare una realtà divina e insieme di potere terreno. Sorta intorno al VII secolo sull’Arce capitolina, ricorda nel nome quell’ara che l’imperatore Augusto avrebbe fatto erigere sul luogo della sua visione profetica di una donna di meravigliosa bellezza, seduta su un altare, con un bambino in braccio. Dopo essere stata abbazia benedettina, passò ai francescani nel 1252 e divenne, grazie alla sua posizione contigua alla sede del Comune, la chiesa dei romani per eccellenza. Si ricorda in particolare che, quando il 30 maggio 1948 la città di Roma venne consacrata alla Vergine Maria, venne portata in processione la sua miracolosa icona, la Madonna Advocata (XI secolo), simbolo di speranza per i fedeli.

Ed è proprio nel segno emblematico della speranza che quest’edificio straordinario, privilegiato per secoli dalla presenza delle famiglie più potenti della città, che lo hanno riempito di innumerevoli opere d’arte, accoglie fino al 4 maggio l’interessante esposizione “Tessere la speranza. Le vesti celesti in Aracoeli”, realizzata dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, diretta da Margherita Eichberg, e dal Parco Archeologico del Colosseo, diretto da Alfonsina Russo.

La mostra, ospitata nelle cappelle della navata destra, espone le vesti preziose delle “Madonne vestite”, tra cui quelle dei simulacri della Vergine del Rosario e dell’Addolorata, provenienti da paesi laziali, e porta all’attenzione del pubblico per la prima volta gli abiti del Bambinello della basilica dell’Ara Coeli e quelli della Madonna del Carmine in Trastevere, più nota come Madonna de’ Noantri.

Il Santo Bambino dell’Ara Coeli, situato in un’apposita cappella, è uno straordinario documento della devozione popolare, incoronato solennemente dal Capitolo Vaticano nel 1897 e caratterizzato da numerosi ex voto che ne ricoprono la veste. La statuina, scolpita da un francescano nel legno d’ulivo del Getsemani verso la fine del secolo XV e dipinta secondo la tradizione da mano angelica, era ritenuta prodigiosa e veniva portata dal clero al capezzale degli infermi e delle partorienti che ne facevano richiesta. Il Bambinello che vediamo ora non è più quello originario, purtroppo rubato nel 1994 e non restituito come successo nel passato, ma si tratta di una copia che continua ad avere per i fedeli la stessa valenza.

Il vestito del Bambinello esposto in mostra è stato realizzato nel XIX secolo in laminato d’oro e decorato con ricami in fili d’oro e d’argento che racchiudono perle e cristalli. L’aspetto a sacco è legato al fatto che i bambini piccolissimi un tempo venivano fasciati e per questo motivo non si vedono gli arti, ma solo le manine che fuoriescono da due aperture sul davanti. I ricami non sono molto appariscenti, perché bisognava lasciare posto agli innumerevoli omaggi di pietre preziose e altri ex voto che lo rendevano riccamente ingioiellato.

La Madonna del Carmine di Trastevere (secolo XIX), è una statua lignea policroma, recentemente restaurata. Detta popolarmente la “Fiumarola” perché rinvenuta alla foce del Tevere, mostra e porge ai fedeli lo scapolare, un pezzetto di stoffa che si appende al collo e che rappresenta, oltre a un oggetto devozionale, una forma simbolica di rivestimento che, richiamando la veste dei carmelitani, contraddistingue chi si affida alla Vergine.

Come per altre madonne vestite, gli abiti sono diversi, da indossare a seconda dei giorni del calendario liturgico. Il vestito più antico in mostra (XIX secolo) è in raso di seta color avorio, con grandi ricami floreali in filo d’oro, paillettes in oro e cristalli policromi. È costituito da una gonna con il monogramma di Maria, un corpetto, maniche e manicotti. Il manto che gli si abbina è in seta celeste, con ricchi ricami e due stemmi della famiglia dei Principi Caracciolo di Forino. Altri abiti sono più recenti, ma sempre ricchissimi, come i due donati nel 1937 dall’ultima regina d’Italia Maria José Carlotta Sofia … di Sassonia Coburgo-Gotha, moglie di Umberto II di Savoia. Uno, in gros de tour laminato d’oro, ha tra i decori in filo d’argento alcuni frutti, tra cui le fragole, che simboleggiano la passione di Cristo.

Dalla chiesa di Santo Stefano protomartire di Boville (Frosinone) proviene l’abito festivo in seta rossa dell’Addolorata, sempre con ricami in oro e pietre policrome, mentre il manto abbinato è in taffetà di seta celeste con ricami in oro (XXI secolo). L’Addolorata della Chiesa di San Michele Arcangelo di Arpino (Frosinone) realizzata in cartapesta policroma (XVIII secolo), indossa invece il tradizionale abito nero in seta con ricami in argento e manto pure nero. Ha in mano un fazzoletto bianco con merletto per asciugare le lacrime.

Da Casalattico (Frosinone) provengono gli abiti in seta rossa della Madonna del Rosario e del Bambino con ricami in oro (fine XIX secolo). Ricordiamo che l’invenzione del rosario venne attribuita a San Domenico (1170-1221) dai primi storici dell’ordine da lui fondato, ma l’istituzione della festa è legata a Pio V in seguito alla vittoria dei cristiani contro i turchi a Lepanto il 7 ottobre del 1571.

Anche la provincia di Viterbo è ricca di esempi di madonne vestite. Da Vetralla provengono l’abito della Madonna del Carmelo e quello abbinato del Bambino in broccato di seta color avorio a fiori verdi (secolo XIX), mentre da Oriolo Romano (Viterbo) provengono diversi vestiti della Madonna della Stella e del Bambino che fanno pensare a prati fioriti, ma in diverse tinte.

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Vestiti da Oriolo Romano
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Vestiti da Vetralla

Il progetto espositivo “Tessere la speranza”, giunto alla sesta edizione, nasce a partire dal recupero, effettuato dalla Soprintendenza, della Madonna del Rosario (inizi del XVIII secolo) conservata nella Chiesa di S. Andrea Apostolo a Vallerano (Viterbo), danneggiata dal sisma del 30 ottobre 2016. La mostra, ospitata a Palazzo Patrizi Clementi (sede della Soprintendenza) nel 2016, ha illustrato per la prima volta le creazioni artistico-artigianali realizzate da donne e monache per vestire i simulacri mariani presenti sugli altari di molte chiese, in particolare del centro e del meridione d’Italia. Sono manufatti celestiali che sono stati poi esposti ad Albano Laziale, a Sora, a Gaeta e ad Arpino per far conoscere il ricco patrimonio antropologico, storico e religioso, conservato nelle chiese laziali.

P.S.

La mostra è visitabile tutti i giorni nell’orario di apertura della Basilica (8,30-18,30) fino al 4 maggio 2018.


 

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