Strani sono gli agenti della storia, due buchi neri. Strana è la vicenda, la lotta fra loro. Strana la conclusione, che saprete fra poco.
Quale è dunque questa favola ? Eccola.
Tutti voi sapete già cosa sia un buco nero: è un quid che praticamene ingloba, ma potremmo anche dire che “divora” qualsiasi cosa gli capiti a tiro.
Sì, è vero che mentre attira ed ingurgita qualcosa, essa accelera sempre più prima di cadervi, e mentre accelera per ciò stesso emette dei segnali o radiazioni che dir si voglia. Ma alla fin fine il buco nero finisce col divorare tutto ciò che malauguratamente entri nel suo raggio di azione.
Il guaio è, come sapete, che il buco nero – più divora – più si potenzia ed ingrandisce… talché si avvia progressivamente a divenire così grande da poter fagocitare davvero qualsiasi cosa, persino un altro buco nero.
Questa è grosso modo la situazione. E qui comincia la nostra storia… sì, la nostra storia.
C’era una volta un piccolo buco nero, oh, piccolo piccolo, un buchino come la punta di uno spillo. Si era prodotto per caso, chissà, forse addirittura per sbaglio. Comunque sia, si era prodotto. Ormai c’era, che ci volete fare.
Orbene, dall’altra parte dell’universo si trovava un secondo buco nero. Non era grosso, comunque rispettabile, e prodottosi secondo tutte le regole scientifiche di questo universo.
Tutti e due divoravano come era nella loro natura, tutti e due ingrandivano quanto era giusto in base a se stessi. C’era solo una piccola differenza: il buchino riusciva tremendamente veloce. Diciamo pure che in questa risultava anomalo, pazzo, o balordo. Comunque funzionava così.
La conseguenza fu che entro un certo tempo raggiunse quasi le dimensioni dell’altro. Ciò che forse non sapete è che i buchi neri sanno tutto gli uni degli altri. Pertanto, quando quello normale si accorse che l’altro stava per raggiungerlo nelle dimensioni, allora si mise a correre. Conseguenza nella conseguenza: quando quello minore si accorse che quello normale si era messo a correre nella voracità, allora cercò di affrettarsi anche lui oltre ciò che già faceva.
Insomma, si innescò fra i due una sorta di gara a chi si ingrandisse prima. Intendiamoci, e voi l’avrete già capito, non si trattava di banale agonismo.
La posta era molto alta. I due buchi neri avevano capito benissimo che – quando non vi fosse stato più da divorare, né alcuna briciola di materia, né l’ultimo barlume di energia . si sarebbero trovati l’uno difronte l’altro, avrebbero tentato di divorarsi, e presumibilmente solamente uno sarebbe sopravvissuto.
Cosa ciò significasse, sopravvivere o soccombere, i due buchi neri non sapevano. Per ora sapevano però che questa era la posta in gioco. Quindi correvano.
Divoravano, ed inglobavano a tutto spiano, febbrilmente, ferocemente, esausti nella propria ferocia. Oh, qualche volta rallentavano: ma la disperazione e la paura, l’ingordigia e la curiosità li facevano riprendere la corsa spasmodica verso l’ultimo confronto. E questo avvenne.
Proprio quando il tempo stava per finire, proprio dove lo spazio stava per terminare, si incontrarono. Avevano divorato quasi tutto. Divorarono gli ultimi brandelli di tempo, gli ultimi lembi di spazio. Non restavano che essi, non restava che se stessi. E cominciò.
Iniziò la grande ultima battaglia. Indescrivibile. Un collasso di miliardi di mondi, è niente. Un conflitto di milioni di universi, è niente. Uno divorava una parte dell’altro, e s’ingrandiva. Ma veniva divorato in parte, e s’impiccioliva. Uno scatenava la forza di tutto il tempo, l’eternità… ma si fracassava difronte tutto il peso dello spazio, l’infinitezza. L’altro artigliava con tutta l’energia mai esistita, ma non riusciva a scalfire la massa di tutta la materia che c’era stata.
È ridicolo dire che fosse una guerra di titani, che fosse una lotta immane. Era il conflitto di tutto contro tutto, ma ciò ancora non rende l’idea. Bisognava esserci. Bisognava esserlo.
Comunque sia, non ne venivano a capo. Ad ogni brano perduto di sé, si sentivano scomparire esausti. Ad ogni brano strappato all’altro, si sentivano l’euforia di rinascere.
Non che il tempo avesse importanza, non che lo spazio contasse: ma tutto questo perdurava ormai così tanto, che sembrava non avesse mai avuto un inizio, e non dovesse mai avere fine.
A furia di divorare brani dell’altro, ed esser divorati a brani dall’altro… ciascuno aveva divorato alla fin fine tutto l’altro, e da esso era stato divorato… talché quasi quasi ciascuno dei due non sapeva più se fosse ancora se stesso o se ormai fosse l’altro.
Allora, pur continuando a combattere senza posa, perché un attimo di incertezza sarebbe stato fatale, perché una inezia di distrazione sarebbe stata catastrofica, presero a riflettere in sé.
Riflettevano spasmodicamente, sempre combattendo freneticamente all’esterno. E pervennero entrambi alla medesima conclusione. Ovviamente non poteva che essere la stessa, poiché era l’unica possibile, e non ve ne erano altre che fossero concepibili.
E come vi pervennero, decisero di ribaltare la situazione, decisero di giocare il tutto per tutto… invece di divorare l’altro, decisero di gettarsi in pasto all’avversario. Ciascuno decise di gettarsi all’improvviso dentro l’altro, nel tentativo di sfondarlo con tutta la forza e tutto il peso della propria essenza.
Fosse un caso, un destino, od una legge, tutti e due lo pensarono all’unisono.
Così l’uno si gettò nell’altro… ma viceversa.
Nessuno scomparve, nessuno perse o vinse. Entrambi, semplicemente, si ritrovarono per così dire da un’altra parte, in un certo senso dall’altra parte, quella parte lì… che poi era esattamente la stessa di prima, ma in modo totalmente converso. Ed invece di attaccare spasmodicamente ed espandersi, molto semplicemente… presero a contrarsi raccogliendosi in se stessi.