Gli arazzi sono stati nel passato un bene di lusso particolarmente apprezzato dai sovrani e dalle famiglie più prestigiose. Un arazzo costava tantissimo, un prezzo non paragonabile a quello di un dipinto, tela o affresco che fosse, e richiedeva tempi di esecuzione lunghissimi. Ed è forse per questo che, piuttosto che commissionare gli arazzi all’estero (nelle Fiandre o in Francia), il cardinale Francesco Barberini (nipote di papa Urbano VIII) decise di impiantare a Roma un’arazzeria, servendosi di arazzieri fiamminghi per la manodopera e dei pittori più talentuosi per il disegno dei cartoni. “Glorie di carta. Il disegno degli arazzi Barberini” è la nuova mostra di approfondimento che si aggiunge alle altre in corso a Palazzo Barberini, secondo quella strategia di rilancio delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, voluta dal direttore Flaminia Gennari Santori, che ha promosso questa volta un tema perfettamente in sintonia con il casato del Palazzo.
Sono in mostra tre grandi cartoni, un dipinto storico e il ritratto di Urbano VIII eseguito da Pietro da Cortona, prestato dai Musei Capitolini in cambio di due dipinti di Pompeo Batoni (Ritratto del principe don Abbondio Rezzonico e Ritratto di Clemente XIII) richiesti per la mostra capitolina dedicata a Winckelmann. Le tre “glorie di carta” sono un primo passo per conoscere la grandiosità dei sette cicli di arazzi eseguiti per il cardinal nepote Francesco, che “riflettono il suo disegno politico e mediatico, al punto che, alla sua morte, la fabbrica cessò di esistere”, come scrivono nella brochure esplicativa i curatori della mostra Maurizia Cicconi e Michele Di Monte. L’arazzeria durò in effetti solo una cinquantina di anni, dal 1627 al 1679. I cartoni, per quanto funzionali alla realizzazione del prodotto di lusso, erano essi stessi vere opere d’arte e, pertanto, dopo essere stati tagliati in più parti per poter tradurre il disegno nel tessuto, vennero ricomposti e preservati, e addirittura esposti per tre secoli nelle sale di famiglia.
- P. da Cortona, Ritratto di Urbano VIII
Il primo cartone, eseguito da Pietro Berrettini da Cortona, il pittore che proprio nel palazzo eseguì il suo più celebre capolavoro (il gigantesco affresco del Trionfo della Divina Provvidenza), raffigura “Costantino fa distruggere gli idoli pagani” (1637) e fa parte del ciclo delle Storie di Costantino (1631-1641). La scelta del tema era legata al dono di sette enormi arazzi, su disegno di Rubens, che il re di Francia Luigi XIII aveva fatto al cardinale, che era stato legato pontificio alla corte di Francia nel 1625, per compensare il parziale insuccesso della sua missione diplomatica. Simbolicamente gli arazzi narravano le vicende di Costantino, l’imperatore che aveva concesso pieni diritti alla Chiesa.
L’arazzeria romana, fondata dal Cardinal Francesco, completò il ciclo di Costantino con altri cinque arazzi (attualmente emigrati a Filadelfia). Indubbiamente il grande pittore cortonese ha dimostrato nel suo operato una padronanza del mestiere, che vediamo in mostra nell’ariosità della scena sulla destra, con Costantino davanti a un simbolico arco mentre calpesta un idolo gettato a terra, al cui posto viene collocato da due inservienti un simulacro dorato di Cristo. Il linguaggio è pienamente barocco, teatrale ma perfettamente equilibrato tra la parte destra e la sinistra.
- Pietro da Cortona, Costantino atterra gli idoli
Il secondo cartone, eseguito da Giovanni Francesco Romanelli e Paolo Spagna, raffigura la Natività (1644) e fa parte del ciclo della Vita di Cristo, che comprendeva ben dodici arazzi (attualmente a New York), dei quali si conservano otto cartoni a Palazzo Barberini. Il ciclo venne eseguito in un periodo difficile per i Barberini, quello del pontificato del nuovo papa Innocenzo X Pamphilij, che avviò un’inchiesta sull’operato del predecessore Urbano VIII e dei suoi nipoti, accusati di aver sottratto denaro all’erario pontificio per scopi privati. Pur trattandosi di un disegno preparatorio, Romanelli, allievo di Pietro da Cortona, esegue un’opera con un consistente grado di rifinitura, sia negli studiati rapporti di luce ed ombra, sia nella resa del ricco panneggio delle vesti.
- G.F. Romanelli, Nativita
Il terzo cartone, della serie dedicata alla Vita di Urbano VIII, per celebrare il pontefice ormai defunto, è opera di Antonio Gherardi. Si tratta di una bellissima opera che raffigura Maffeo Barberini, prima che diventasse papa, in uno dei suoi primi impegni pubblici: la bonifica dei canali di scolo dell’area del Trasimeno, per evitare le frequenti inondazioni. Sulla sinistra in primo piano un contadino con una falce in mano è intento a strappare con l’altra mano le canne che ostruiscono il passaggio al flusso regolare dell’acqua, mentre al di sopra la figura allegorica della Terra trattiene quella dell’Acqua, discinta e dalla capigliatura a cascata, che con il suo disordine dà pienamente l’idea dei danni che potrebbe causare.
- Il Centenario della fondazione della Compagnia di Gesù
Pure notevole e di interesse storico è il dipinto, eseguito da Andrea Sacchi e da altri, scelto per evidenziare l’uso che si faceva degli arazzi in determinate circostanze. Grazie alla loro mobilità essi potevano essere spostati e prestati, a volte anche a pagamento, per una festa o un evento importante. Il dipinto raffigura la Chiesa del Gesù nel 1639 in occasione del Centenario della fondazione della Compagnia di Gesù. Vi si riconoscono il pontefice Urbano VIII in visita ufficiale, i nipoti cardinali Francesco e Antonio e altri componenti della famiglia e si vedono appesi nella chiesa numerosi arazzi. La festa era stata sponsorizzata da Antonio Barberini e il regista dell’evento era stato Andrea Sacchi. La cosa che colpisce in questo dipinto è la visione contemporanea dell’interno e dell’esterno della chiesa (con la carrozza papale e perfino il nano di corte), come se il pittore avesse tagliato la facciata dell’edificio.