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Discorrendo di pace con Giorgio La Pira


sabato 22 dicembre 2007 di Giacomo de Antonellis

Argomenti: Interviste
Argomenti: Politica


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Questo colloquio di Giacomo de Antonellis con Giorgio La Pira (Pozzallo, Ragusa 1904 – Firenze 1977) avvenne per uno “speciale” radiofonico della Rai-Tv, che non andò mai in onda per oscuri motivi aziendali: di qui la trascrizione e la pubblicazione sotto forma cartacea.

La registrazione era stata realizzata presso il suo studio nel convento di San Marco a Firenze.

Rileggendo il testo dopo tanti anni appare chiara la visione utopistica del personaggio e la sua convinzione che il messaggio politico possa trasformare l’animo di ogni uomo, a qualsiasi fede o ideologia appartenga purché posseduto da buona volontà.

È una testimonianza di alta idealità che rappresenta comunque un documento di valore storico, che guarda ai problemi del mondo intero con l’occhio di un autentico cristiano.

L’intervista è stata pubblicata sulla rivista Storia e politica nel settembre 1974 e ci sembra anche dopo tanti anni molto attuale. Lo suggeriamo come una meditazione per il Natale 2007.

La redazione

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Dal Vietnam al Medio Oriente, dal Cile all’Irlanda, dai grandi agglomerati urbani come pure dalle grandi classi sociali, la legge della violenza si ripropone sotto mille sanguinosi modelli.

Al contrario, l’idea di pace sembra vanificarsi in un concetto astratto, impossibile a tradursi sul piano reale. E’ davvero ineluttabile questo corso? Non è concepibile un rovesciamento del fronte?

Paolo VI, rinnovando il suo augurio al mondo nella festività di Capodanno 1974, ci ha ricordato che la pace dipende da tutti perché “ciascuno di noi fa parte del corpo civile operante con il sistema democratico”. La pace, quindi, è realizzabile se nel cuore degli uomini si inserisce il desiderio di viverla.

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Paolo VI a colloquio con la Pira

Ha aggiunto il pontefice: “Bisogna pensare d’ora in poi l’umanità, la storia, il lavoro, la politica, la cultura, il progresso, in funzione della pace”. Diversamente non esiste via d’uscita, ma la speranza non deve e non vuole morire in chi ha impostato la propria vita – e siamo in tanti, forse senza saperlo! – per l’edificazione di una società nuova, capace di esaltare l’uomo senza metterlo contro i suoi simili. La massima homo hominis lupus rivela, oggi come ieri, il suo menzognero insegnamento.

Non occorre essere profeti del nostro tempo per diffondere un simile messaggio. Occorre talvolta avere un coraggio specifico, come ha dimostrato monsignor Helder Camera denunciando le nequizie dell’oppressione e della tortura nella sua terra brasiliana, che pure si dice cattolica e civile, ma è un tipo di coraggio innato tra gli uomini di buona volontà (e l’essere cristiani accentua questo carattere).

Uno di questi uomini è certamente il professor Giorgio La Pira. Ascoltare l’ex-sindaco di Firenze, leggerne le lezioni di diritto, immedesimarsi nella sua pietas, significa entrare nel vivo del problema della pace affrontandolo con lo spirito del profeta moderno. Perché sta scritto: “Il Signore giudicherà i popoli e farà da moderatore fra genti numerose; esse faranno delle loro spade aratri e delle loro lance falci; un popolo non brandirà più la spada contro un altro popolo, e non impareremo più l’arte della guerra” (Isaia, 2, 4).

Discorrendo con Giorgio La Pira troviamo pertanto un interlocutore prezioso, interprete scrupoloso del versetto biblico che l’uomo del ventesimo secolo ha voluto scolpire all’interno del Palazzo di Vetro, a monito e incitamento di chi si avvicina alla sede dell’ONU. Il problema, tuttavia, non è quello di elevare monumenti. L’importante sta nel volerla, l’importante sta nel vivere la pace.

- Professore La Pira, per ogni cristiano la pace comincia con l’ecumenismo: attraverso questa predisposizione (di cui ha fatto diretta esperienza) tutte le barriere possono essere abbattute.

- “Levate le pietre della guerra e della divisione, e percorrerete insieme le strade della pace del vostro comune patriarca Abramo, abbiamo detto più volte a Firenze rivolgendoci a cristiani, ebrei e musulmani.

E l’ecumenismo cristiano vuole che si tolgano le pietre della fame, della miseria, della disoccupazione, dell’ignoranza, della depressione economica e civile, del colonialismo, del razzismo, dell’antisemitismo, dell’intolleranza religiosa e civile, dell’ateismo di Stato.

Liberare da tutte queste pietre la strada significa riconoscerci tutti uguali e fratelli, e costruire davvero la strada della pace. Ecco perché, a suo tempo, prospettai l’edificazione di un ponte di preghiera, di speranza e di pace tra due santuari celebri della vita religiosa e civile dell’Occidente e dell’Oriente. Fatima per un verso, San Sergio di Zagorski per l’altro verso”.

- Il cammino verso il disarmo militare è forse cominciato, ma andrà avanti in concreto?

- “Questo cammino deve attraccare a tanti scali intermedi prima di pervenire al porto finale.

Il disarmo ha una sua geografia che tocca gradualmente i paesi del Terzo Mondo e dell’Europa, ma il cammino del disarmo militare, per essere davvero efficace e creativo, contemporaneamente e strutturalmente, deve essere cammino dell’armamento della pace, quello della trasformazione delle armi distruttive della guerra – come ammonisce Isaia – in strumenti edificatori della pace e della civiltà (dalle lance gli aratri, dai missili le astronavi!).

Per rendersi conto della necessità storica di questa trasformazione degli investimenti di guerra in investimenti di pace, basti pensare al più improrogabile e al più crescente dei problemi nel mondo: l’adeguata nutrizione dei poveri di tutti i continenti (due terzi del genere umano!) e se si pensa alla gigantesca crescita demografica si vede l’urgenza della trasformazione. Il disarmo generale – disse Gandhi – avrà inizio in Europa, e non è davvero idea utopistica; una politica europea fondata sul superamento dei blocchi, che la Conferenza sulla cooperazione e la sicurezza europea dovrebbe confermare, è a diretto servizio della pace del popoli e del mondo intero”.

- Oltre venti anni fa, per sua iniziativa, a Firenze venne piantato un simbolico albero della pace. Era il 1952, un’epoca che risentiva ancora i rancori generati dalla guerra fredda. L’albero della pace è cresciuto ma i suoi frutti sono stati raccolti o sono stati abbandonati dagli uomini della nostra società?

- “L’albero fiorentino della pace, cioè i Convegni per la pace e la civiltà cristiana, è rapidamente cresciuto fino a diventare un patto di amicizia tra i popoli tra tutte le città capitali del mondo – con i sindaci di Parigi e Mosca, persino di Pechino – diventando auspicio profondo di vittoria e di rinascita.

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Ricordo una delle prime gemme di questo albero, la pace algerina e mediterranea. Siamo utopisti? Sognatori?

Crediamo di no: i fatti convalidano ogni giorno di più (malgrado tutto) le nostre tesi, la storia avanza in modo irresistibile ed irreversibile verso la sua primavera e verso la sua estate”.

- C’è un momento della sua battaglia (diciamo meglio della sua missione) a favore della pace che suscitò grandi e gravi polemiche persino in campo cattolico. Mi riferisco al viaggio del 1965 in Vietnam del Nord, compiuto assieme a Mario Primicerio. Come ricorda quel discusso quanto interessante episodio?

- “Si vis pacem para pacem! Appena sorta la crisi del Vietnam, a Firenze prendemmo alcune iniziative, tra cui un Simposio internazionale durante il quale si fece l’analisi obiettiva di tutti i documenti relativi a quella crisi.

Oltre ad amici laburisti inglesi (Brokway, Silverman, Warbey, Jenkins) vi intervennero Jules Moch, l’osservatore sovietico Rubinstein e molte altre personalità; altri, come il senatore americano Fulbright, aderirono e persino Ho Chi Minh ci fece pervenire una lunga lettera con la quale ringraziava per l’interessamento al suo Paese.

Essendosi poi inasprita la situazione di guerra, sollecitato da circoli intellettuali vietnamiti, decisi di fare il viaggio a Hanoi, un viaggio di pace che seguiva iniziative precedenti (Mosca, Gerusalemme, Algeri, Dakar, Rabat) che erano tutte compiute all’insegna dei convegni fiorentini per la pace cristiana.

I fatti successivi hanno confermato l’utilità di questa nostra opera di pace”.

- Per creare un mondo migliore, esiste una speranza storica biblica?

- “Certamente. Il Nuovo Testamento riprende, integrando la visione dei profeti, questa immensa prospettiva di speranza nella storia terrestre degli uomini.

Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà come in Cielo così in terra: è la speranza orante che il Cristo consegna agli apostoli nel discorso dell’ultima cena.

Ed è la stessa speranza orante che il vecchio Simeone consegna nel tempio alla Vergine: ‘luce per l’illuminazione delle nazioni e per la gloria del popolo di Israele’. È la speranza storica – spes contra spem – che anima la teologia paolina. È la speranza dei ‘mille anni’ che costituisce il punto attrattivo e prospettico della storia quale rivela Giovanni (Apocalisse, XX, 4).

Questa ‘speranza storica biblica’ non si è mai spenta nel corso dei secoli, anche quando la tempesta si è fatta paurosa – si pensi alla seconda guerra mondiale! – questa stella della speranza biblica non ha mai cessato di splendere (anche se offuscata) nel cielo della Chiesa, di Israele, delle Nazioni.

Questa ‘speranza storica biblica’, malgrado tutto, ha fatto irruzione anche nella storia politica del nostro tempo.

Essa è il luogo dell’inevitabile incontro tra i movimenti storici di cui parlò, con tanta felice analisi e intuizione storica, Giovanni XXIII nella Pacem in terris (84-85). Possa questo messaggio di speranza e di pace fiorire presto a confronto e gioia dell’intera famiglia umana”.

- Ma i giovani, professor La Pira, secondo lei riescono a capire e fare loro questo problema della pace?

- “I giovani contestano, è naturale. Dicono le nuove generazioni: perché attardarsi ancora (anzi a retrocedere di fronte a certe nuove frontiere) nella stagione invernale degli armamenti nucleari e della guerra?

Perché non scegliere decisamente il passaggio all’età della pace? Non si tratta di una scelta marginale: essa investe, se fatta, la struttura intera della civiltà e della società umana. Investe tutto, contesta tutto, rinnova tutto: nova sint omnia!

Le nuove generazioni hanno sentito il mutamento della stagione storica, hanno sentito la primavera ed hanno iniziato – con la loro ‘rivolta’ e con la loro ‘contestazione globale’ – la migrazione verso il continente storico nuovo dove fiorirà la primavera e dove si preparerà l’estate della storia nuova del mondo.

I giovani sono destinati a fare il passaggio nella terra promessa. Il tempo di partenza è già avvenuto e quando il cammino comincia nessuno più lo ferma!”

- Lei ha parlato più volte di ‘tende del terrore’ per indicare i punti cruciali di crisi. Di recente però – grazie all’intensa azione diplomatica di Henry Kissinger – c’è stata una tenda, non metaforica, al chilometro 101 della strada Cairo-Suez, sotto la quale tenda la pace è prevalso sul terrore.
- 
- “Più volte abbiamo ripetuto: abbattere ovunque i muri e costruire ovunque i ponti, a Berlino, a Hanoi, a Saigon, a Gerusalemme, al Cairo, in ogni continente.

E’ la sola inevitabile prospettiva politica dell’età spaziale ed atomica. O la distruzione apocalittica della terra o l’edificazione della pace e della civiltà. Tertium non datur. Sia pure in ritardo, per il conflitto mediorientale, è prevalsa la ragione”.

- Contro i potenti esiste una medicina, quella della non violenza. Ma può bastare a produrre la pace?

- “La via della non violenza attiva, della non violenza dei forti, è la nuova strada per liberare politicamente – attuando la giustizia – i popoli oppressi.

Lo aveva felicemente intuito Gandhi allorché scrisse: ‘La non violenza è la forza più grande di cui disponga l’umanità… (essa) deve liberarsi dalla violenza solo per mezzo della non violenza

Non c’è scampo alla rovina incombente se non attraverso la coraggiosa e incondizionata accettazione del metodo non violento, con tutte le sue mirabili implicazioni’.

Guidare il popolo di Dio verso la liberazione dall’oppressione, dalla fame, dell’ignoranza, dalla disoccupazione, dalla malattia, attraversando questa nuova via: ecco il metodo affinché il popolo attraversi senza armi ma con suppellettili e vestimenti, unito e organizzato il Mar Rosso (Esodo, XII, 55). Mandato che tocca alla Chiesa romana e che estende in suoi effetti sulle Chiese e sulle Nazioni dei popoli oppressi di tutto il mondo

. A conforto di questa tesi – che investe solidamente non solo la Chiesa ma tutti i popoli – si possono citare le dichiarazioni che durante il 1973 hanno fatto a Mosca, a Washington e a Pechino, i vari Breznev, Kissinger e Chou En-lai.

Il primo disse: ‘La nostra filosofia della pace è l’ottimismo storico’

Il secondo disse: ‘Il nostro obiettivo è la pace totale’

. Il terzo disse: ‘Nonostante i flussi e i riflussi la storia è indubitabilmente e irreversibilmente avviata non verso le tenebre, ma verso la luce’.

E tutti e tre hanno pronunciato la frase diventata quasi l’assioma dell’attuale politica nel mondo ‘La pace è irreversibile, al negoziato globale non c’è alternativa’.

E la storia (nonostante i flussi e i riflussi) si è mossa e si sta muovendo sempre più celermente in questa direzione”..

P.S.

Per saperne di più su Giorgio La Pira Visitate il sito della Fondazione intitolata al suo nome