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Rubrica: CULTURA


La dimensione teologica


domenica 14 gennaio 2007 di Andrea Forte, Vivi Lombroso

Argomenti: Religione


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Si consideri che, qualunque sia il proprio atteggiamento, nei confronti della dimensione religiosa, essa resta imprescindibile nell’ambito della realtà umana, sia a livello di singolo che di specie. Sia pure attraverso una serie indefinita di gradualità e di pseudosostituzioni, in pratica l’esperienza religiosa resta inevitabile; spesso resta (più o meno coscientemente) addirittura preponderante nell’insieme di un vissuto. Pochi escono dalla dimensione religiosa effettivamente (dopo avervi ottemperato), per entrare realmente nella dimensione della ricerca esoterica.

Ciò significa implicitamente che l’esoterismo risulta dimensione successiva ed inglobante quella religiosa quanto politica.

Al riguardo, va ricordato che le religioni storiche sono considerate come provenienti dalla Tradizione Esoterica, nel senso che ne costituiscono una attualizzazione e volgarizzazione. Ne consegue che - come affermano molti esoteristi - in ogni religione v’è un contenuto esoterico. Volendo adottare tali due criteri come ipotesi di lavoro, ribaltandoli, è possibile ricavarne altri due: l’esperienza religiosa effettiva può divenire propedeutica all’esperienza esoterica; ogni religione può essere interpretata anche esotericamente. Come vedremo, questi quattro criteri sono quanto meno stimolanti, e consentono il recupero di valenze spesso insospettate in fenomenologie storiche che si prospettano apparentemente come cristalline o cristallizzate a seconda dei casi. In base a tutto quanto sopra detto si ricava che uno studio della storia delle religioni risulta notevole coadiutore non solo per una migliore conoscenza di se stessi, ma anche per un più esatto apprezzamento della teoria esoterica.

Intorno alle origini delle credenze religiose possiamo distinguere in mezzo alla diversità di opinioni, due indirizzi principali: un indirizzo tende a considerare la religione come innata nell’uomo; l’altro grande indirizzo tende a considerare la religione come una lenta evoluzione di tutti i fenomeni naturali, quindi acquisito. Gli uni affermano che nessun individuo o stato può trovare l’uomo senza l’adorazione del divino; altri sostengono che esistono o sono esistite società e individui senza un indirizzo religioso. Certi missionari non trovano alcuna traccia di religione, laddove gli antropologi trovano folle di totem e di feticci. Altri missionari scoprono profondi sentimenti religiosi che gli antropologi non trovano. Se il missionario vuole sostenere la tesi che Dio è un’esigenza dell’essere umano, allora sarà pronto a dire “sì, questo è volgare totemismo, ma dentro c’è un’esigenza di Dio”. Se invece vuole dimostrare che bisogna andare a salvare questi individui caduti nell’abiezione, quand’anche si trovi di fronte una popolazione che crede in un dio invisibile e ha una fede molto sofisticata, dirà che sono preda di satana, che bisogna convertirli. Neppure l’antropologo sfugge a tali tentazioni, ma non significa che l’antropologia di per sé sia partigiana. Il fatto che ci sono delle tensioni religiose in tutte le epoche e razze non significa che la tesi prospettata da queste religioni sia giusta; non significa che quello che i popoli hanno creduto e credono sia giusto. Tutti i popoli hanno il concetto di guerra, di pace, poi basta una patrimoniale del 6% e si scatena una reazione aggressiva. C’è un gran parlare di pace, ma poi c’è una gran radicata idoneità a combattere. Persino la chiesa cattolica, pur di restare a galla, ha ammesso che uccidere è lecito, purché sia per difesa personale.

Che molti popoli abbiano delle esperienze religiose non vuol dire che esiste Dio. Basta pensare a tutta una serie di nevrosi, il principe azzurro ad esempio. Nonostante siano millenni che principi/principesse azzurre non esistano, tuttavia l’idea miete vittime. Un’altra idea è quella del Maestro. Nonostante da millenni alcuni individui più sensibili e intelligenti vadano ripetendo che i Maestri non esistono più, in realtà si è a caccia del Maestro, dell’uomo ideale, papà, in ultima analisi, Dio. Darwin distingueva la teologia dalla religione: la teologia non è partigiana. Un teologo che dice “questo dio è vero, questo dio è falso” non è un teologo. La teologia constata le varie credenze e le varie negazioni. E una vera ricerca teologica porta all’ateismo, ma bisogna andare cauti perché c’è da distinguere i vari tipi di ateismo. Molti atei credono nella non esistenza di Dio più di molti mistici che credono all’esistenza di Dio. Il vero ateo non è ateo, perché è un non problema. La teologia in realtà ha poco a che fare con la religione, e ancor meno con le chiese di tutte le religioni. Diciamo che a monte c’è la teologia, le chiese sono un riflesso. Teologia è competere con un argomento più difficile e sofisticato di quanto non si pensi; è un argomento inequivocabilmente duro, impietoso, sia nei confronti di Dio che nei confronti del teologo.

Se si prendono testi di alta sociologia, di alta antropologia, di storia delle religioni, si trova un discorso di religione naturale. Parlano tutti di una religione naturale, cioè una forma di religiosità, di credenza, nella divinità che si sarebbe verificata agli inizi della specie umana, quando gli umani hanno cominciato ad avere alcune forme di socialità, una religiosità che si ritroverebbe ancor oggi presso quelle residue popolazioni considerate “primitive”, e questa forma di religiosità si ritroverebbe nelle persone più semplici, incolte, e che per motivi contingenti vivono isolate. La religione naturale poggia su un criterio di base molto semplice. Esiste il mondo, gli esseri umani, una divinità scarsamente connotata che ha creato il mondo e gli umani. Si possono avere arricchimenti di questa religione, dipende dagli scambi e dalle possibilità di accumulare una tradizione (possibilità di dipingere sulle pareti, oppure forme di scrittura, fusione di metalli etc). Abbiamo un nucleo che è solido e jolly, e una parte fluttuante che dipende dai supporti di trasmissione. Che cosa accade. Intanto possiamo renderci conto di un fenomeno che si verifica presso le masse e in ciascuno di noi. Il bambino cristiano è buono, rispettoso, cioè i dieci comandamenti. Poi passa il tempo, va a fare il chierichetto, e poi può diventare insegnante di catechismo in parrocchia etc.; una escalation di santificazione. Poi c’è quello che si fa prete o monaca, quello che entra all’Opus Dei, però ci può essere anche quello che piano piano si allontana perché scopre che il parroco ha sei miliardi di bot. Morale della favola, questo individuo si allontana dal bigottismo, ha fatto sempre più una distinzione fra clero e fede, e adesso crede in un dio e che siamo tutti uguali davanti a lui. Dalla teologia di S.Tommaso e S.Agostino regredisce a una teologia sempre più semplificata, sempre più naturale, primitiva, debole. Questo non è né un bene né un male, è una constatazione della dimensione religiosa e teologica nell’essere umano.

Per capire meglio questo, bisogna cogliere un altro aspetto fondamentale della teologia naturale, un aspetto acquisito. La teologia naturale ha due aspetti fondamentali, uno innato, ed è questa visione semplice del rapporto creatore/creatura, uno/molteplice; l’altro elemento è acquisito, ed è perfido. Si parla di teologia naturale, si dice che poggia su questa visione semplice di creatore/creatura, essa è la religione delle origini. La conseguenza è che si pensa che come gli umani si distinsero dalle bestie, hanno cominciato a pensare che ci sia un creatore e una creatura. In realtà non è esatto perché la religione delle origini non è il primo pensiero, non è la prima domanda, non è il primo rientro in se stessi, la prima meditazione. Prima teologia significa la prima delle teologie. È vero che la teologia naturale è la prima, ma non la prima forma di pensiero, il primo quesito. Può sorgere la domanda: va bene, ho capito, e allora questo austraulopiteco? L’australopiteco, fra le prime cose che può aver pensato ed essersi chiesto (e risulta dai reperti archeologici), ha pensato alla morte, dove andava a finire uno morto. Quello che lo accompagnava tutti i giorni era l’impulso del mangiare, ma sul piano astratto il pensiero era la morte. Perché la fame è tanto connessa col sesso? Perché è la fame di cibo, di sesso, di aria, di sonno. Quello che accompagnava l’aborigeno era la fame, la morte, la paura, la ferita, l’azzannata. Con la lentezza tipica di questi tempi, quante migliaia di anni sono passati durante i quali gli ominidi si ponevano queste angosciose domande, e hanno testimoniato tentativi di risposta a queste domande? Allora possiamo chiederci: è nato prima lo sciamano o il prete? Caso mai si sarà venuto delineando lo sciamano che aveva una qualche forma di influenza sui manas, sugli eterici, sui campi psichici degli animali, dei compagni di branco. Si dovrebbe dire: prima è nata la psicologia, nel senso etimologico della parola, nel senso di anima, psiche; poi, come fenomeno proiettivo, amplificativo, autodenigrativo, è nata la theos-loghia. La psicologia è nata prima, e poi la teologia, perché la teologia è ancella della psicologia, non la filosofia è ancella della teologia. È la teologia che è ancella, e di una realtà sottile, superiore, la psicologia, perché la filosofia è razionalità, è una delle funzioni della psicologia.

 



  • > La dimensione teologica
    26 aprile 2007, di Sym57

    non per far confusione, ma penso che l’argomento debba essere inserito per essere compreso, in un contesto anche scientifico, e non solo riferito alla psicologia, ma anche alle teorie scientifiche che sorreggono la realtà dei fenomeni sia umani che universali.. e dico questo perchè nel discorso teologico, giustamente non si parla del quesito fondamentale che cosa sia morire..si parla solo di come sia avvenuta la creazione, come si possa essere eletti o derelitti..ma non si parla della dimensione morte..(la si contempla come fatto inevitabile che genera l’idea di sovranaturale) invece questa è ampiamente trattata nella disciplina astrofisica, perchè il concetto di evoluzione e di mutazione, nonchè di paralleli spaziotemporali ce la pongono sempre come soglia e come quindi superamento..inoltre c’è da considerare che l’umanità ha aperto la strada direi certa della disumanizzazione e che la dimensione psicologica, filosofica, scientifica e teologica sono senz’altro diverse da come si potrebbero interpretare se invece l’umanità avesse risposto a se stessa spiritualmente ed esotericamente...
    la dimensione robotica cui ci stiamo dirigendo mi sembra privata di anima, cioè di valore intrinseco che consentirebbe all’umanità di saper far tesoro di un avanzamento tecnologico e che invece mi sembra stia sovrapponendosi alla dimensione teologica originaria escludendo di proposito l’anima che invece renderebbe la dimensione originaria vitale e propedeutica ad una conoscenza più profonda di se stessi ...come identità..e direi che l’anima sia quella spirituale e non quella più conosciuta come psiche e legata alle espressioni emozionali ed istintuali.. ma quella più profonda e collegata alla meditazione..