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Mostra di Monet

MONET al Vittoriano

Una mostra monografica sul Padre dell’Impressionismo con quasi 60 capolavori provenienti dal Museo Marmottan-Monet di Parigi
mercoledì 1 novembre 2017 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Dopo aver viaggiato in lungo e in largo alla ricerca di emozioni e impressioni, il Grande Maestro dell’Impressionismo Claude Monet (1840-1926), sempre fedele alla pittura en plein air, trova per ben venti anni nel suo giardino l’unica fonte di ispirazione. In questo luogo atto a misurare i propri stati d’animo, riesce ad esprimere tutta la sua sapienza cromatica, facendola esplodere in una sempre maggiore astrazione, che prima era solo latente nella sua opera. È questo che emerge, in sintesi, nella mostra che gli viene dedicata al Vittoriano, ricca di quasi 60 opere di Monet prestate dal Museo Marmottan di Parigi.

Si tratta di un prestito sorprendentemente consistente (quasi la metà dell’intera collezione di Monet del museo, dovuta a importanti donazioni, tra cui quella di Michel Monet, il figlio secondogenito del pittore). È come entrare nell’intimità di casa Monet, perché vediamo molti quadri che l’artista conservava nella sua casa: quadri che non volle mai vendere, né esporre nelle mostre, poiché riteneva che i critici non potessero capirle. Ci riferiamo in particolare all’ultima produzione, quando, come già detto, si concentrò sul giardino della sua casa di Giverny, riproducendo il viale di rose, i salici, e soprattutto lo stagno con le ninfee.

La mostra, a cura di Marianne Mathieu, ripercorre la vita artistica di Monet, partendo dagli inizi, quando a Le Havre, in Normandia, faceva delle caricature, evidenziando la silhouette e l’atteggiamento, più che la fisionomia dei personaggi. Tra questi vi è anche qualche nome famoso, come i drammaturghi Louis Clairville, Eugène Scribe, Adolphe d’Ennery, e lo scrittore e critico d’arte Jules Champfleury. A 15 anni quei disegni, che esponeva nella vetrina di un negozio di cornici, gli avevano dato una certa fama locale, ma ben presto li abbandonò per passare alla pittura di paesaggio, sotto la guida di Eugène Boudin. Come ebbe a scrivere in seguito: “All’improvviso si squarciò un velo. Avevo compreso, avevo capito finalmente cosa la pittura fosse”.

Nel 1859 Monet si trasferì a Parigi per frequentare una scuola di belle arti, dove incontrò Pissarro, e qualche anno dopo conobbe Renoir e Sisley, i futuri fondatori del gruppo degli Impressionisti, la cui prima mostra si inaugurò a Parigi nel 1874. In quell’occasione un giornalista attaccò sarcasticamente il quadro di Monet “Impressione. Sole nascente” (1872) e intitolò la sua recensione La mostra degli Impressionisti. Il nome fece scalpore e si diffuse rapidamente, anche se ci volle del tempo per accettare quella pittura dai colori brillanti e dalle vigorose pennellate che facevano apparire incomplete le opere di questi artisti, se paragonate a quelle tradizionali del passato.

Monet, anche se dipinse nella sua vita qualche ritratto (sono in mostra diversi ritratti dei figli Jean e Michel, avuti dalla prima moglie Camille, in una sezione dedicata alla famiglia), ebbe una predilezione per il paesaggio dipinto en plein air e in effetti in mostra troviamo tele che raffigurano alcune marine, tra cui “La spiaggia di Pourville. Sole al tramonto” (1882), “Étretat, falesia e Porto d’Amont” (1885)”, “Barca a vela. Effetto della sera” del 1885 e “Barche nel porto di Honfleur” (1917), o comunque effetti acquatici come nel “Ponte di Charing Cross a Londra” (1901) e in “Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi” (1905). Un quadro di paesaggio italiano è quello del “Castello di Dolceacqua” (1884), una località ligure che visitò insieme a Renoir. Deve forse qualcosa alla pittura di Turner uno dei primi quadri, “Il treno nella neve. La Locomotiva” (1875) per quel suo voler rendere l’effetto della velocità insieme a quello del vapore nel cielo gelido, come pure “Vétheuil nella nebbia” (1879). Egli scoprì Turner e Constable nel suo primo soggiorno a Londra (1870-71), dove si rifugiò allo scoppio della guerra franco-prussiana per evitare la chiamata alle armi, ma i dipinti londinesi esposti in mostra sono relativi a viaggi successivi.

Egli fu tra gli Impressionisti quello forse più coerente, data la sua assoluta e costante dedizione agli ideali di quella pittura. La sua tecnica pittorica era libera e spontanea; la sua pennellata duttile e variata, talora frammentata e guizzante. Estremamente veloce, rallentò i tempi solo con la vecchiaia (oltretutto ebbe problemi di vista), quando sentì la necessità di lavorare anche in studio per portare a termine le sue opere. Paul Cezanne dichiarò che Monet era “soltanto un occhio, però, mio Dio, che occhio! “, mentre Guy de Maupassant lo definì “un cacciatore”, più che un pittore, per quella sua continua ricerca di sensazioni da dipingere, in tutte le ore del giorno, dall’alba al crepuscolo, e in tutte le stagioni. E, se possiamo usare per Hokusai, il pittore giapponese contemporaneamente in mostra a Roma all’Ara Pacis, la definizione di Maestro del Mondo fluttuante, è altrettanto vero che Monet potrebbe essere visto come Maestro del Tempo mutevole.

Nel 1890, avendo raggiunto una certa sicurezza economica, Monet acquistò la casa di Giverny, dove assieme alla sua seconda moglie, Alice (già madre di sei figli che Monet allevò insieme ai suoi), coltivò le due passioni della sua vita: la pittura e il giardinaggio. Monet, esperto di botanica, coltivava nel suo giardino centinaia di varietà di piante nazionali ed esotiche, godendo tutto l’anno di lussureggianti fioriture. Nel 1893 acquistò un pezzo di terra confinante col suo giardino per ampliare il piccolo stagno che già c’era e riuscì così a realizzare il suo giardino d’acqua, dopo aver deviato il corso del fiume Ru. Vi costruì un ponticello di legno incurvato, ispirato a quello di una stampa giapponese che aveva nel suo soggiorno, e lo riempì di glicini. Lungo i bordi furono piantati dei salici piangenti (raffigurati in alcuni dipinti) e nell’acqua quelle meravigliose ninfee, che divennero il tema più ricorrente della sua pittura. E come dargli torto? Le sue Ninfee, con i loro colori delicati, a prima vista non sono del tutto riconoscibili, ma ci incantano per quel loro dissolversi nell’acqua in una magica mescolanza di luci e colori. Un effetto che in mostra viene ricreato nei pavimenti dove si ha l’impressionare di camminare sull’acqua di uno stagno fiorito. “Amo l’acqua, ma amo anche i fiori” è la frase di Monet che ci accompagna lungo il percorso.

Il passaggio all’astrazione, che notiamo nei dipinti degli ultimi anni, è particolarmente evidente in alcuni pannelli in mostra, preparatori di quei pannelli monumentali, riproducenti sempre paesaggi acquatici con ninfee, che dovevano essere collocati nell’Orangerie delle Tuileries per celebrare la fine della I guerra mondiale.

L’esposizione termina con l’esposizione di un dipinto perduto e ricostruito grazie alle più recenti tecnologie da Sky Arte HD. Si tratta di Water lilies (Ninfee) (1914-26), distrutto nell’incendio del 1958 sviluppatosi nel Museum of Modern Art di New York. La sua attendibile riproduzione è stata affidata a un team di esperti, artisti, tecnici e conservatori d’arte che ha lavorato con mezzi digitali e tradizionali, nell’ambito di un progetto che prevede la realizzazione di 7 documentari che raccontano la storia di altrettanto opere tragicamente scomparse e la loro ri-materializzazione.

P.S.

MONET. Capolavori dal Musée Marmottan-Monet, Parigi

Complesso del Vittoriano, Roma
19 ottobre 2017-11 febbraio 2018
Orari: dal lunedì al giovedì 9,30-19,30; venerdì e sabato 9,30-22,30; domenica 9,30-20,30
Biglietti (audioguida inclusa): intero €15, ridotto €13
Catalogo Arthemisia Books
Info: www.ilvittoriano.com; www.arthemisia.it


 

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