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Santa Rosa

Il Tesoro di Santa Rosa

A Viterbo sono in mostra per la prima volta preziosi documenti e capolavori di arte e fede che ricostruiscono la vita della patrona della città e la storia del Monastero di santa Rosa
domenica 1 ottobre 2017 di Nica Fiori

Argomenti: Mostre, musei, arch.
Argomenti: Religione


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Il 6 marzo 1251 moriva a Viterbo a soli 18 anni quella che sarebbe diventata la patrona della città: santa Rosa. Pare fosse malata di tubercolosi. Sul suo sepolcro, in seguito alla traslazione del suo corpo da parte di papa Alessandro IV (nel 1258) nel monastero delle Clarisse (ma già prima papa Innocenzo IV, al quale era apparsa in sogno, l’aveva fatta riesumare dalla sua prima tomba per portarla nella chiesa del monastero e ne aveva avviato la canonizzazione), fiorì un culto straordinario, favorito da numerosi miracoli raccontati nella Vita prima, di cui conserviamo solo un frammento, e nella Vita seconda, che era stata presentata nel 1457 al nuovo processo di canonizzazione, voluto da Callisto III perché il primo non si era mai concluso. La traslazione della beata Rosa ha ispirato la celebre festa che culmina, alle ore 21 del 3 settembre, nel trasporto della “macchina di Santa Rosa”, un altissimo pinnacolo luminoso che viene portato a spalle da 80 facchini vestiti di una tunica bianca fasciata di rosso. Il percorso va dalla chiesa di San Sisto al santuario della Santa. L’ultimo tratto, in salita, viene compiuto di corsa con uno sforzo estremo.

Quest’anno, in occasione della festa, si è inaugurata nel Monastero di Santa Rosa la mostra “Il tesoro di Santa Rosa. Un monastero di arte, fede e luce”, che espone per la prima volta al pubblico, fino al 6 gennaio 2018, preziosi manufatti, tra cui manoscritti, documenti, dipinti, ceramiche e argenti sacri che ricostruiscono la vita della Santa, che era terziaria francescana, e le vicende meno note del monastero. Come ha precisato la Soprintendente per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Area metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale Alfonsina Russo nell’introduzione del catalogo (Gangemi editore), “il monastero, grazie all’intervento di restauro conservativo intrapreso dalla Soprintendenza, viene ora finalmente restituito in alcune sue parti, particolarmente significative, alla comunità di Viterbo, con un percorso che comprende, in primo luogo, la Sala Capitolare e il Refettorio”.

La mostra è divisa in quattro aree tematiche: l’antico monastero e la sua decorazione; la vita di Santa Rosa e la sua canonizzazione; le monache di Santa Rosa e la vita nel monastero; la devozione popolare e gli ex voto. Si disegna così, intorno al chiostro, un percorso che esalta il valore storico artistico ed etnoantropologico dei singoli pezzi e allo stesso tempo l’aspetto spirituale del luogo, a partire dalla teca contenente il corpo della santa.

Tra i dipinti sono di particolare interesse quelli restaurati appositamente per l’esposizione, come la quattrocentesca Madonna del latte e Sant’Antonio Abate, dipinta su una tegola, di matrice tardo gotica, e un olio su tela del primo Seicento raffigurante Sant’Orsola, di Bartolomeo Cavarozzi. Vi è poi una pala d’altare cinquecentesca con la Madonna di Loreto, di un pittore della cerchia del Pomarancio.

Il bozzetto di Marco Benefial (concesso da Intesa San Paolo), raffigurante La prova del fuoco (ca. 1723), si riferisce a un episodio narrato nella Vita seconda, dove si racconta che nel paese di Vitorchiano Rosa entrò in contrasto con una maga eretica e per convertirla affrontò la prova del fuoco, uscendone illesa. Si tratta di un dipinto di grande suggestione: un notturno illuminato dalle fiamme del rogo, attraversato dalla santa che affronta gli eretici con un gesto minaccioso. Si fa riferimento all’eresia dualistica, venata di gnosticismo, che lei combatteva a Viterbo ma, come scrive Alfredo Cattabiani nel suo volume Santi d’Italia (1993), “si tratta di un’amplificazione leggendaria, perché Rosa non poteva predicare senza un’esplicita autorizzazione del vescovo, né discutere con gli eretici”.

Certo quello non era un momento facile per Viterbo, che vedeva da un lato i ghibellini partigiani dell’imperatore Federico II, che Innocenzo IV aveva scomunicato, e dall’altro i guelfi fedeli al papa. I ghibellini, che controllavano politicamente la città, si servivano degli eretici per combattere la fazione avversa. Rosa, che girava per le vie pregando con una croce in mano, dava fastidio a tutti e fu per questo che fu esiliata insieme alla sua famiglia a Soriano del Cimino, ma fortunatamente solo per pochi giorni, perché la morte di Federico II avvenuta il 13 dicembre del 1250 permise ai guelfi di riprendere il sopravvento e di preparare il ritrorno del papa. Pare che Rosa avesse preannunciato quella morte in seguito all’apparizione in sogno di un angelo, così come di lì a poco avrebbe previsto la propria prematura morte.

Sono pure in mostra gli acquerelli secenteschi di Francesco Sabatini che riproducono la storia della Santa, dipinta a metà del Quattrocento da Benozzo Gozzoli nell’antica chiesa andata distrutta; e ancora i preziosi documenti relativi alla santificazione: il manoscritto del 1457 contenente il processo di canonizzazione e le cosiddette Lettere patenti di 13 comunità limitrofe che lo sostenevano. Ogni lettera è munita di sigillo e si ritiene che siano i sigilli più antichi (1457) finora noti per quei comuni.

Nel Refettorio sono stati appena restaurati i dipinti murali del 1612, tra cui l’immancabile Ultima Cena conservata nella lunetta interna, di grande forza espressiva, l’Ascensione e una Madonna in gloria e Santi. In questo ambiente è possibile calarsi nella vita del monastero grazie agli antichi documenti conventuali detti “Abadessati” (documenti relativi alle Badesse), le ceramiche antiche e le elaborate oreficerie, tra le quali una caravella d’argento con lo scafo ottenuto da una conchiglia madreperlacea di Nautilus. Alcune ceramiche recano il nome per esteso della monaca che, messo in relazione con i nomi presenti nei registri dei Capitoli, ha permesso di attribuire con esattezza l’oggetto alla religiosa cui apparteneva, contribuendo a ricostruire uno spaccato della vita monastica tra la fine del XVI secolo e il XVIII. Infine gli ex voto, tavole dipinte con poetico candore, raffigurano l’intervento miracoloso della santa in caso di malattie, cadute, naufragi, come pure invocazioni di fedeli, come quella che raffigura un uomo che prega Santa Rosa affinché possa aiutare le anime purganti. La santa è raffigurata generalmente con una corona di rose in testa, che trae spunto dal nome e simbolicamente si addice alla sua verginità.

P.S.

Monastero di Santa Rosa, Via di Santa Rosa, 33 – Viterbo
Orario 9,30-12,30; 15,30-19. Ingresso libero


 

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