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PIRANESI. La fabbrica dell’utopia

Oltre 200 opere in mostra a Palazzo Braschi illustrano il genio creativo del grande incisore e architetto settecentesco
sabato 1 luglio 2017 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Pur essendo veneziano di nascita, Giovan Battista Piranesi (1720-1778) ha legato il suo nome come pochi altri alla Roma del Settecento, perché di essa ha dato nelle sue incisioni una visione esauriente e originale, contribuendo a renderla la città prediletta dai viaggiatori del Grand Tour. Ed è proprio Roma che lo accoglie a Palazzo Braschi nella grande mostra “Piranesi. La fabbrica dell’utopia”, evidenziandone le capacità artistiche e la genialità di innovatore. Il titolo, che sembra un ossimoro, vuole esaltare allo stesso tempo la moderna tecnologia che permette di realizzare in 3D anche le immagini più visionarie della sua produzione grafica.

Promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, diretta da Claudio Parisi Presicce, in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, la mostra è a cura di Luigi Ficacci e Simonetta Tozzi e presenta oltre 200 opere equamente ripartite tra la Fondazione Giorgio Cini e le collezioni del Museo di Roma di Palazzo Braschi. Sono esposte le celeberrime e suggestive acqueforti della serie delle Carceri d’invenzione, i fantasiosi Capricci eseguiti ancora sotto l’influsso di Tiepolo, le grandi Vedute di Roma, dalle amplificate prospettive architettoniche, fino alle varie raccolte di Antichità romane e, nell’ultima sezione, quelle di Paestum.

Le Vedute di Roma, eseguite nell’arco di trenta anni, illustrano i grandi monumenti antichi, le piazze e le chiese principali, come pure angoli meno noti che ci permettono di immaginare la città in un momento di grande splendore e rinnovamento. Piranesi, trasferitosi da Venezia a Roma nel 1740, divenne uno dei pionieri dell’archeologia romana, e forse il massimo illustratore del fenomeno antiquario esploso nel Settecento. Egli era l’artista delle rovine per eccellenza, ardente ricreatore della grandiosità del passato, del quale offriva nelle sue tavole incise un’immagine iper-reale (e decisamente visionaria nei capricci architettonici), che si diffuse ben presto in tutta l’Europa. Le sue preferenze andavano sicuramente all’arte romana, e per la supremazia di questa su quella greca si battè contro altri studiosi quali il Winckelmann, ma a un certo punto si lasciò ammaliare anche dall’arte egizia, come si vede nelle decorazioni del perduto Caffè degli Inglesi, riprodotte in due incisioni delle Diverse maniere di adornare i cammini, dove abbondano le piramidi, le sfingi e gli obelischi.

Artista complesso e versatile, egli esprime nelle sue opere una formazione illuminista, ma anche un atteggiamento romantico e un linguaggio compositivo che si rifà al barocco e, andando più a ritroso, al manierismo. Piranesi, più che incisore, amava definirsi “architetto”, come è evidenziato per esempio nel ritratto eseguito da Felice Polanzani nel 1750 e inizialmente utilizzato come frontespizio della raccolta delle Opere Varie. L’artista vi è raffigurato a torso nudo, con le braccia spezzate come nelle antiche statue, su un’epigrafe marmorea ove si legge: “Jo. Bap. Piranesi / Venet. Architectus”.

Una sezione particolare è dedicata proprio a Piranesi architetto e ci fa conoscere la sua unica creazione architettonica, ovvero la Chiesa di Santa Maria del Priorato sull’Aventino, grazie alle fotografie di Andrea Jemolo, mentre le realizzazioni tridimensionali di alcune sue invenzioni mai realizzate esaltano la sua capacità di arredatore e ricreatore dell’antico in chiave moderna. Sono state ricavate dal ricchissimo repertorio delle Diverse Maniere di adornare i Cammini (1769) o da alcuni pezzi antichi, riprodotti e divulgati da Piranesi nella serie dei Vasi candelabri cippi sarcofagi tripodi…(1978), come il celeberrimo tripode del Tempio di Iside a Pompei.

Accanto a questi materiali sono esposti i marmi, oggi conservati nelle collezioni della Sovrintendenza Capitolina, derivati dalla celebre Forma Urbis severiana, la prima pianta di Roma fatta scolpire su pietra da Settimio Severo, che Piranesi tentò di ricostruire nella sua originaria composizione, in piena sintonia con l’amore del maestro per la conservazione dell’antico, di fronte al quale egli si pone con un atteggiamento di sacro rispetto. Grande risalto viene dato anche ai suoi studi sulle grandi opere di ingegneria idraulica dei Romani, come si vede dalle tavole dedicate all’emissario del lago Albano, realizzato per far defluire verso il mare le acque sovrabbondanti, o in quelle del castello dell’Acqua Giulia, più noto come Trofei di Mario, in piazza Vittorio all’Esquilino. È proprio grazie alla sua intuizione che questo monumento potè essere correttamente identificato come mostra dell’acquedotto Giulio di età augustea.

Inoltre, dato il successo della realtà virtuale già sperimentato in altre mostre (come per esempio in Leonardo e il volo), si può accedere, muniti di speciali occhialetti, in una sala “immersiva” delle celebri prigioni piranesiane. Creata del Laboratorio di Robotica Percettiva, dell’Istituto TECIP - Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, questa realizzazione permette di rivivere in tre dimensioni tutto il fascino di queste visioni fantastiche e irreali, che sono ormai divenute un vero e proprio caposaldo del nostro immaginario collettivo. Tra i letterati che ne sono stati colpiti vi è il grande Herman Melville che così le descrive nel suo poemetto Clarel:

Nelle più rare incisioni di Piranesi
gl’interni sconfinatamente strani,
dove il sospettoso pensiero
può spaziare con cupi, continui presentimenti,
a che cosa fanno accenno? Scale
su scale foscamente salgono
in successione dalle infossate cupe Bastiglie.
Pozzo sopra pozzo; ordini su ordini
di gallerie ombrose, sospese
su loggiati, loggiati senza fine:
altezza e profondità – il prossimo, il remoto;
cerchi di ferro ai pilastri in camminamenti
coperti, e, infisse in essi, catene
di Radamanto; e tutto ciò è meno stregato
di certe allusive camere chiuse.
………
La cosa cui qui si allude è l’uomo stesso,
i penetrali in cui si ritrae,
il suo cuore fitto di labirinti …

Anche Charles Baudelaire parla delle sue “architetture impossibili e misteriose”, mentre Victor Hugo definisce le Carceri una “incommensurabile Babele”.

Lo scrittore oppiomane Thomas De Quincey in Confessions of an English Opium Eater (1818), le investe addirittura di una luce di allucinante delirio, creando il mito della “scala di Piranesi”, che non si riesce mai a superare completamente perché, quando si raggiunge la sommità, si riforma nuovamente “e lassù, di nuovo, sta Piranesi in delirio, intento alla sua faticosa ascesa”.

Questa scala diventa nel romanticismo il simbolo dello spirito che si inabissa in se stesso. Viene assimilata al labirinto e c’è pure chi vi legge il tema dell’eterno ritorno. Eppure, queste prigioni apparentemente assurde appaiono in mostra virtualmente realizzabili.

P.S.

Piranesi. La fabbrica dell’utopia

Museo di Roma Palazzo Braschi
Piazza Navona, 2; Piazza San Pantaleo, 10
16 giugno -15 ottobre 2017
Dal martedì alla domenica, ore 10 – 19 (la biglietteria chiude alle 18); chiuso il lunedì
Biglietto “solo mostra”: intero € 9; ridotto € 7
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 - 19.00)
www.museodiroma.it; www.museiincomune.it