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Giacomo Balla alla Galleria Nazionale

Riuniti per la prima volta in una mostra i dipinti delle donazioni di Elica e Luce Balla al museo romano
mercoledì 1 marzo 2017 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Giacomo Balla. Un’onda di Luce”. È questo il titolo suggestivo di una mostra alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (Viale delle Belle Arti, 131, Roma) che sembra alludere allo studio della luce che caratterizza un po’ tutta l’opera di Balla, ma si rifà allo stesso tempo al nome di una delle figlie del maestro. Si tratta di un’esposizione che analizza il percorso artistico di Balla nelle sue varie fasi attraverso i dipinti di due donazioni da parte della famiglia dell’artista, esposte ora per la prima volta insieme.

La prima donazione alla Galleria Nazionale di Roma risale al 1984 e comprende 35 opere donate dalle figlie Luce ed Elica, ma con usufrutto in vita, mentre la seconda, del 1998, è legata al testamento di Luce Balla che incaricò Maurizio Fagiolo dell’Arco di suddividere una serie di disegni e studi tra tre musei italiani. Fra quelli della galleria romana sono compresi lo schizzo Appunti dal vero sul quadro Fallimento del 1902, Ritmi di un violinista del 1912 e il progetto di allestimento per Villa Borghese. Parco dei Daini, il grande polittico acquistato nel 1962 dall’ambasciatore Cosmelli.

Quando pensiamo a Balla, lo inquadriamo subito come genio futurista, ma è sbagliato ricondurre alla sola gloriosa stagione futurista la poliedrica e complessa attività di Balla, che ha attraversato da autentico precursore la prima metà del Novecento. Nato a Torino nel 1871, Giacomo Balla assorbe dal padre Giovanni, fotografo dilettante, i primi stimoli verso la fotografia che approfondisce durante la frequentazione dell’Accademia Albertina. Si trasferisce nel 1895 a Roma, dove conquista presto un ruolo di primo piano e vi rimane fino alla morte nel 1958. Dagli esordi nel segno della scomposizione divisionista del colore (ispirato da Pellizza da Volpedo) alla forte impronta fotografica delle inquadrature, egli giunge al dinamismo e alla velocità futurista per poi tornare al figurativismo, ai ritratti di famiglia o ai paesaggi.

In lui c’è una tensione continua verso la sperimentazione e il filo conduttore potrebbe essere proprio la luce, il suo scomporsi e ricomporsi nel movimento. Luce solare, luce artificiale, ma anche studio dei raggi luminosi derivato dall’uso della camera ottica fotografica, da cui derivano i tagli diagonali e gli effetti di luce radente e di controluce, l’autoscatto e l’inquadratura parziale dell’immagine. Troviamo in mostra alcuni quadri decisamente fotografici, quasi in bianco e nero, come il ritratto della moglie Elisa Marcucci (Elisa che legge, 1902) e soprattutto lo stupefacente trittico Affetti, del 1910, che si contrappongono ad altri quadri dove, invece, il colore viene esaltato, come nel ritratto ovale di Luce del 1910.

In un’altra sala troviamo i dipinti relativi al periodo futurista, al cui linguaggio approda con la formula visiva della “linea di velocità” capace di rendere l’energia in atto nel movimento, ben evidente in Ponte della velocità del 1913-15. Combinerà poi questo stilema con altre forme grafiche tra cui le “forme rumore”, il “vortice” (come in Futurlibecciata del 1919) e le “forme volume” per creare degli equivalenti astratti della realtà, come per esempio le celebri Forme grido Viva l’Italia dal tricolorismo patriottico (è in mostra Sbandieramento del 1915). Nel 1914 redige il Manifesto del vestito antineutrale, pure esposto in mostra, e l’anno dopo, con Depero quello per la Ricostruzione futurista dell’universo.

Con questi scritti rivoluzionari Balla diventa il più avanzato e radicale esponente del gruppo, proponendo un’estensione dell’estetica futurista dall’arte alla vita, che investe l’abbigliamento, l’arredamento, il teatro, la casa e l’architettura. La sua casa romana in via Porpora diviene laboratorio di arti applicate, ma non dobbiamo dimenticare che Balla era attratto dalla teosofia, oltre che dal moto, e quindi dall’idea di un dinamismo anche spirituale, che va al di là della terza dimensione, come vediamo nelle opere Trasformazione forme spiriti del 1918 e Sorge l’idea del 1920.

Nel 1937 Balla chiude con l’esperienza futurista, dichiarando in una lettera pubblicata su “Perseo” che “l’arte pura è nell’assoluto realismo, senza il quale si cade in forme decorative e ornamentali”. Si assiste quindi a un ritorno al figurativismo, che in realtà non aveva mai del tutto abbandonato, come si vede dall’opera Valle Giulia del 1921, che raffigura proprio la Galleria Nazionale d’arte moderna che ospita ora le sue opere. La tarda produzione di Balla è stata a lungo ignorata dalla critica, che la considerava poco creativa, ma in realtà denota un carattere di modernità e di coerenza interna, in un realismo fotografico nutrito dalle ricerche di fotografi a lui contemporanei, come Elio Luxardo e Arturo Ghergo, nella scelta dell’inquadratura e nell’uso delle luci artificiali, volto a intensificare i contrasti. Emblematico di questo momento è Un’onda di Luce, del 1943, che raffigura il volto della figlia di sbieco, emergente da un’accesa gamma di rossi. Interessante è l’inquadratura in La fila per l’agnello del 1942 e i giochi di luce e ombra nei dipinti dedicati a Villa Borghese, da sempre il suo paesaggio romano d’elezione.

P.S.

Giacomo Balla. Un’onda di luce
Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (Viale delle Belle Arti, 131, Roma)
Dal 21 febbraio al 26 marzo 2017
Orario: 8,30-19,30 (ultimo ingresso 18,45); lunedì chiuso
Biglietti: intero €10, ridotto € 5