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BALTHUS in due mostre

Roma celebra il pittore con “La retrospettiva” alle Scuderie del Quirinale e “L’atelier” a Villa Medici
domenica 1 novembre 2015 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Folgorato dai maestri del Rinascimento toscano e creatore di un’enigmatica pittura senza tempo, Balthus (Parigi 1908 - Rossinière 2001) si professava estraneo all’arte moderna e alle sue avanguardie, eppure, nonostante questo suo atteggiamento di distacco, i suoi orizzonti culturali e artistici contribuiscono ad arricchire l’idea novecentesca di modernità nella pittura figurativa, che viene evidenziata nella grande mostra alle Scuderie del Quirinale, “Balthus - La retrospettiva”, e in contemporanea all’Accademia di Francia-Villa Medici con “Balthus - L’atelier”, rassegna questa dedicata al soggiorno romano dell’artista, che risiedette dal 1961 al 1977 a Villa Medici, in quanto direttore dell’Accademia di Francia.

Balthasar Klossowski de Rola (vero nome di Balthus), figlio di un critico d’arte di origine polacca e di una pittrice, è stato descritto nella biografia di Nicolas Fox Weber (2003) come un “aristocratico imprevedibile e caustico, seducente e provocatore”. Il giovane Balthusz, che pubblica all’età di 11 anni la sua prima raccolta di disegni “Mitsou” (dal nome del suo gatto) su impulso di Rainer Maria Rilke (compagno della madre dopo la separazione dal marito), cresce tra Parigi, Berlino, Ginevra in un ambiente culturale propizio allo sbocciare di una personalità originale, che nel tempo si arricchirà con la frequentazione di Artaud, Giacometti e Bataille. Il viaggio in Italia nel 1926 è fondamentale per la sua arte, mentre l’incontro con gli esponenti del movimento surrealista non porta buoni frutti, perché non si sente in sintonia con André Breton. Oltre ad alcune mostre, non sempre accolte bene dalla critica, della sua vita si ricordano, tra le altre cose, un periodo di otto anni trascorso quasi segregato nel castello di Chassy, in Borgogna, il periodo brillante in cui è stato direttore dell’Accademia di Francia a Roma e in seguito il suo trasferimento nello chalet di Rossinière in Svizzera, dove ha vissuto come un eremita con la moglie giapponese Setsuko fino alla morte. In tutte le fasi della sua esistenza Balthus ha sempre concepito l’arte come passione e continua ricerca della forma, che vuol essere seduttiva e insieme intellettuale.

Egli non amava parlare di sé stesso, voleva che fossero i suoi quadri a parlare. La mostra delle Scuderie, a cura di Cécile Debray (Conservatrice al Centre Pompidou) e Matteo Lafranconi, è organizzata in ordine cronologico, tra alternanze e confronti con scritti e opere con cui Balthus amava dialogare, compresa una scultura di Giacometti, e si articola in 11 capitoli, a partire da “La Rue” (la strada), del 1933, che è la sua prima opera importante. Descritta a suo tempo dallo stesso autore come “il manifesto di un atteggiamento plastico”, raffigura una strada parigina del quartiere latino dove sfilano una serie di personaggi, che Artaud definì “automi da sogno”, in una composizione geometrica che si rifà alle prospettive di Piero della Francesca. Non a caso nella stessa sala troviamo delle piccole copie ad olio degli affreschi più celebri di Piero (Storie della Vera Croce), fatte da Balthus in occasione del suo viaggio ad Arezzo.

Segue il settore “L’infanzia” dove è evocato il suo amore per i giochi infantili e i bambini, tra abbandono innocente e pose scomode e a volte sensuali (I bambini Blanchard, 1937; La pazienza, o solitario, 1943). Si prosegue con “La pregnanza di Cime tempestose”, un capitolo importante perché il romanzo di Emily Brontë, da lui illustrato nel 1933, e culminante nella grande tela La toilette de Cathy (la modella è la prima moglie Antoinette de Watteville), ha sicuramente influito sulla pittura e la personalità di Balthus, che sviluppa un attaccamento a uno stato “selvaggio” dell’infanzia e un’immedesimazione con i paesaggi aspri e arcaici delle lande scozzesi, descritti dalla Brontë, che rispecchiano un amore che va al di là della vita.

L’incontro nel 1932 con Antonin Artaud, scrittore, drammaturgo e regista teatrale, è trattato nel “Teatro della crudeltà” (titolo del manifesto pubblicato da Artaud), che è vicino all’estetica “crudele” di Balthus, ovvero alla sua visione realistica di un mondo violento, ben lontana dall’estetica fantastica e onirica dei surrealisti. E Artaud scriverà a questo proposito: “La pittura di Balthus è sicuramente una rivoluzione rivolta contro il surrealismo, ma anche contro l’accademismo. Al di là della rivoluzione surrealista, al di là delle forme dell’accademismo classico, la pittura di Balthus riscopre una sorta di misteriosa tradizione”.

Notevolmente incisivi appaiono i disegni relativi all’opera teatrale “I Cenci”, di Shelley, la cui scenografia venne affidata da Artaud a Balthus. Un’altra opera letteraria che ha ispirato Balthus è “Alice nel paese delle meraviglie”, del pastore matematico Lewis Carroll, insieme al seguito “Attraverso lo specchio”: entrambe costituiscono una fonte importantissima per la sua poetica, a partire dal ruolo degli animali nella sua opera, e in particolare dei gatti (Il re dei gatti, che è un suo autoritratto, 1935; Il gatto del Mediterraneo, 1949). Il gatto, animale sacro per gli egizi, ma ritenuto malefico e diabolico nel Medioevo, diviene per Balthus una sorta di alter ego, come se egli volesse immedesimarsi nella sua inquietante presenza, e soprattutto nel suo istinto di libertà.

In mostra vediamo come Balthus è solito trattare più volte lo stesso soggetto giungendo a un elaborato classicismo di taglio assolutamente moderno, influenzato dal Realismo magico di Casorati e dalla Metafisica di De Chirico, come pure da Derain e dalla Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività) tedesca.

La Chambre (La camera) è il settore dove è più evidente l’erotismo di giovinette raffigurate nell’intimità della loro vita domestica, sospese in una dimensione quasi metafisica, fino ad arrivare al grande dipinto La Chambre (1952-54), ritenuto scandaloso per l’atmosfera un po’ equivoca, nella quale il fratello Pierre Klossowski ha visto l’eco di un suo libro (“Roberta stasera” del 1953): “La luce del giorno illumina la vittima offerta e riversa su una poltrona, è l’orgasmo che segue una violenza?” Violenza che potrebbe anche non esserci stata: solo il gatto onnipresente ha assistito alla scena, illuminata da una figura ambigua che scosta la tenda.

Anche alcuni dipinti tardivi come La falena (1959-1960) o la Grande Composizione col corvo (1983-86) sembrano rifarsi a certi aspetti del mondo di Klossowski: un personaggio di intellettuale (filosofo, traduttore di Hölderlin e specialista di de Sade), che è allo stesso tempo il miglior commentatore dei dipinti di Balthus, nei quali vede le reminiscenze di “una certa Häuslichkeit”, ovvero della casa di famiglia.

La Grande composizione col corvo è un’opera decisamente enigmatica. Una giovane donna nuda su un letto, con gambe e braccia divaricate e con la bocca spalancata, sembra rivolgersi verso un corvo (messaggero del Sole nel culto mitraico) come in attesa di qualcosa, mentre al di sotto troviamo il solito gatto e, in formato ridotto, un uomo di spalle che solleva un mobile di legno. Sembra di ravvisare nella strana posizione della donna un riferimento alla Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio (soprattutto nelle braccia aperte e nel colore cereo del corpo), e quindi il senso recondito potrebbe essere quello del risveglio alla vita, risveglio che potrebbe avvenire attraverso il desiderio amoroso.

A Villa Medici l’esposizione è incentrata sul lavoro dell’artista durante il periodo romano e negli anni successivi. Circa 50 opere tra dipinti, disegni e fotografie contribuiscono alla scoperta dell’universo creativo di Balthus nella villa che per 15 anni è stata il suo atelier. All’epoca Balthus frequentava Federico Fellini, Renato Guttuso e altre personalità di spicco e si dice sia stato uno dei più brillanti direttori dell’Accademia di Francia. Sotto la sua direzione sono stati realizzati importanti restauri e la sistemazione delle copie del Gruppo dei Niobidi nel giardino (gli originali, rinvenuti a Roma e acquistati da Ferdinando de’ Medici, vennero in seguito trasferiti a Firenze), a ricordare la sorte crudele che può comportare un atto di arroganza come quello di Niobe, che venne punita da Apollo e Artemide con l’uccisione dei figli, perché si era vantata di essere molto più prolifica della dea Latona. E qui viene spontaneo il pensiero a quel “teatro della crudeltà” già esaminato nelle mostra delle Scuderie.

Tra le opere in mostra a Villa Medici, c’è la famosa La Chambre turque (1963-66), raffigurante la sua giovane moglie giapponese ritratta nella camera turca, un suggestivo ambiente collocato nell’alto di una delle torri di Villa Medici, cui si può accedere da una scala a chiocciola. Un’ascesa faticosa, ma assolutamente da compiere, perché questa è la prima volta che questa camera di gusto orientaleggiante viene aperta al pubblico e perché dalle sue bifore si gode un panorama meraviglioso. Altri celebri dipinti sono Japaneise à la table rouge (1967-76) e Nu de profil (1973-77): il tutto accompagnato da una selezione di schizzi e disegni preparatori.

P.S.

Le immagini dell’articolo, tranne quelle firmate N. Fiori, sono tutte: opera © Balthus © MONDADORI PORTFOLIO

BALTHUS
Dal 24 ottobre 2015 al 31 gennaio 2016
Scuderie del Quirinale
La retrospettiva
Orario: da domenica a giovedì dalle 10 alle 20; venerdì e sabato dalle 10 alle 22,30 (la biglietteria chiude un’ora prima).
Biglietti: € 12, ridotto € 9,50

Accademia di Francia-Villa Medici

L’atelier
Orario dalle 10 alle 19, lunedì chiuso
Biglietti: €12, ridotto € 6. Il biglietto è valido per l’ingresso alla mostra e la visita di Villa Medici
NOTA: Oltre alle riduzioni abituali, chi si recherà in una delle due sedi espositive con il biglietto della mostra Balthus emesso nell’altra sede, beneficerà dell’ingresso ridotto


 

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