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LA BUONA SCUOLA

Il difficile iter della scuola statale italiana
lunedì 1 giugno 2015 di Giovanna D’Arbitrio

Argomenti: Attualità
Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Società


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Verso la fine degli anni ’90 il ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer (governo Prodi), cominciò a parlare di “scuola azienda” introducendo riforme che rivoluzionarono la Scuola Statale.

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Luigi Berlinguer

Ci dispiace costatare che tali iniziative partirono proprio da un governo di sinistra che applicò alla scuola gli stessi criteri imposti alle aziende per ridurre i costi: fusioni, tagli sul personale, aumento della precarietà, flessibilità, mobilità, non stipendi adeguati ma verticalizzazioni del personale (ad esempio “funzioni obiettivo”, cioè insegnanti con particolari incarichi) quindi contrasti e tensioni per accaparramento di posizioni e progetti, lotte intestine per guadagnare qualche soldo in più. E intanto si facevano ampie concessioni alle scuole paritarie, mentre si cercava di favorire l’ingresso di “sponsor” privati nella scuola pubblica, sia per un supporto a livello economico, sia per creare rapporti tra scuola e mondo del lavoro.

Alla cosiddetta “autonomia scolastica” con consequenziale supporto economico dello Stato, tra l’altro potevano aspirare solo le scuole statali con 500 alunni, pena l’accorpamento a un altro istituto. Ovviamente per non correre tale rischio i presidi accettarono molte iscrizioni, arrivando anche fino a 600 alunni, con classi sovraffollate in cui venivano penalizzati soprattutto gli allievi più deboli.

Già alla fine degli anni ’90 la “scuola azienda” suscitò critiche, proteste e inquietanti domande.

  • La scuola può essere considerata un’azienda, dal momento che non si occupa di merci ma di esseri umani?
  • Gli sponsor cosa pretenderanno in cambio del loro denaro? Potranno modificare il POF (Piano dell’Offerta Formativa)?
  • Si perderà la libertà di insegnamento?
  • I presidi saranno in grado di trasformarsi in manager, oppure come avviene spesso gratificheranno i soliti squallidi docenti mediocri e servili in cambio di totale supporto alle loro iniziative (insomma la solita “cricca” clientelare)?
  • Invece di causare tanto caos, non sarebbe stato più giusto prevedere sanzioni per insegnanti sfaticati, assenteisti e spesso ignoranti, invece di scatenare lotte intestine per il cosiddetto “merito”?

Con la riforma dell’attuale governo, definita la “Buona Scuola”, più o meno si ripropone tutto ciò. A dire il vero, inizialmente ci era sembrata molto positiva l’intenzione di Renzi di risolvere urgenti problemi della scuola statale (in particolare edilizia scolastica e precariato), eppure ora sentendo parlare di nuovo di scuola-azienda, presidi-manager, premi agli insegnanti più meritevoli, intervento di sponsor, ci sembra che tale riforma sia l’edizione “riveduta e corretta” di quella di Luigi Berlinguer e, in aggiunta, con essa si regala ai dirigenti scolastici più potere con la facoltà di scegliersi i docenti: non si sa ancora con quali criteri e se ci sarà almeno un controllo per garantire correttezza ed equità. E anche in questa riforma non mancano concessioni alle private con sgravi fiscali e “bonus” ai genitori che decideranno di iscrivervi i figli (strano che tali proposte arrivino anche da governi di sinistra!).

Nel corso degli anni spesso ci siamo chiesti cosa s’intenda oggi per “buona scuola” almeno a livello europeo, ma le risposte a quanto pare sono difficili da trovare e i pareri sembrano alquanto discordanti, soprattutto in Italia dove l’instabilità politica incide pesantemente sulla scuola con il continuo succedersi dei governi che di volta in volta escogitano nuove riforme scolastiche.

È evidente che la scuola statale ora è allo stremo, duramente provata da riforme di governi di destra e di sinistra (spesso accompagnate da vistosi tagli) che hanno creato un clima di instabilità, nervosismo e grave disagio anche negli alunni, sempre più soli in una società priva di valori etici e positivi punti di riferimento. Tralasciando le riforme degli anni precedenti al ‘96, dopo il già citato Berlinguer, vari governi hanno di volta in volta nominato nuovi ministri della Pubblica Istruzione (De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini, Profumo, Carrozza, Giannini) e… naturalmente ognuno ha preteso di cambiare qualcosa. I cambiamenti per i governi sono forse necessari, ma è saggio coinvolgere continuamente la scuola? Si chiedono mai i ministri della P.I. se essi danneggino allievi e insegnanti? Vengono introdotti pensando al bene dei giovani o seguendo logiche e interessi di partito? Ci si chiede allora perché mai il diritto allo studio in Italia non possa essere un obiettivo trasversale perseguito da tutti i partiti politici.

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La sottoscritta ha sperimentato tutto ciò sulla propria pelle, sia come madre che come insegnante della scuola dell’obbligo dove mi sono ritrovata più volte a dover difendere il diritto allo studio degli “ultimi della fila”.

Davvero difficile seguire i più deboli in “classi pollaio” e in scuole fatiscenti! E mentre in alcune scuole con enorme spreco di denaro aumentano sempre più computer, lavagne e registri elettronici che molti docenti anziani non sanno nemmeno usare, in altre scarseggiano sedie, banchi e perfino carta igienica.

Che dire dunque della scuola digitale e in particolare dei test “Invalsi”? Non tutti sanno che sulla scheda di ciascun alunno c’è un codice a barre. La prima volta che lo vidi, provai uno strano malessere mentre mi chiedevo mentalmente: “Come polli al supermercato”. Davanti ai miei occhi sfilavano le schede, come le merci sul nastro scorrevole, registrate dalla cassa col codice a barre. Tutti schedati! Immaginai i grandi data base, moderni mostri, mentre ingoiavano i dati dei miei amati alunni, soprattutto di quelli più deboli, i portatori di handicap, quelli meno intelligenti, gli svantaggiati, i figli degli immigrati e così via. Pensai allora che mentre in Italia ormai accettiamo gli Invalsi senza fiatare, molti genitori in Europa e USA si stavano ribellando, e ancora oggi protestano, poiché questo sistema di valutazione presenta diversi lati negativi. Esso, infatti, non è in grado di approfondire i numerosi e complessi problemi degli alunni che inoltre, in quanto esseri umani, sono dotati di capacità non sempre misurabili e per di più suscettibili di continui cambiamenti. Perché allora imprimere un “marchio” indelebile su creature che potrebbero migliorare in futuro?

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E passiamo ora ai registri elettronici: introdotti già da qualche anno in molte scuole, sono stati reclamizzati per celerità, maggiore efficienza, risparmio, trasparenza, cooperazione scuola-famiglia, per convincere docenti, genitori e alunni sull’utilità di adottare le nuove tecnologie digitali che sostituiranno anche nelle segreterie documenti cartacei, raccoglitori d’archivio, timbri e quant’altro.

Voti, giudizi, presenze e assenze degli alunni viaggeranno in rete col registro elettronico, una sorta di “Grande Fratello” di orwelliana memoria, che informerà i genitori tempestivamente su risultati scolastici e comportamenti dei figli: scrutini, certificati, scambi di dati tra le varie scuole, saranno online.

Nell’ambito del Sistema Pubblico di Connettività i dati saranno resi accessibili a soggetti pubblici addetti a compiti istituzionali, con diritto quindi all’accesso e invio di documenti, a effettuare pagamenti, a ottenere moduli e formulari aggiornati, posta elettronica certificata, firma digitale ecc... I progressi tecnologici digitali, insomma, possono offrire al cittadino una pubblica amministrazione più efficiente e produttiva e, pertanto, sembra logico introdurre tali strumenti anche nelle scuole che potranno raccogliere tutti i dati relativi ad alunni (e insegnanti) in fascicoli elettronici comunicando alle famiglie e agli utenti interessati come accedervi, secondo la legge L.241/90 sulla trasparenza.

Pare che la “privacy” sia garantita all’interno di un vero e proprio Codice dell’Amministrazione Digitale, una sorta di Costituzione con diversi articoli su diritti e doveri. E qui cominciano i dubbi, poiché questa valanga di dati comunque finisce in un database e, come ormai tutti sanno, per hackers ed esperti in materia nessuna password o sistema criptato può rappresentare un ostacolo insormontabile. Oggi poi i giovani ne sanno più degli adulti in tal campo. Basti pensare all’inventore di Facebook, Mark Zuckerberg.

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Evoluzione umana!!!!

Con una certa apprensione di nuovo ci chiediamo, come per i test Invalsi, cosa avverrà a quei ragazzi che hanno gravi problemi a livello fisico e psichico, come portatori di handicap, caratteriali e svantaggiati dei quartieri a rischio, alunni che di solito non fanno registrare risultati scolastici brillanti. Cosa ne sarà di tali dati quando questi giovani dovranno inserirsi nel mondo del lavoro? E cosa accadrà anche a tutti i ragazzi che oggi non sono bravi a scuola, ma che potrebbero evidenziare notevoli progressi o altre capacità dopo aver concluso i loro studi? Se Einstein, alunno mediocre, fosse nato in quest’epoca, sarebbe diventato un grande scienziato comunque, o sarebbe stato bloccato dai suoi scarsi risultati scolastici inseriti in un computer? Come sarà gestito il curriculum di ogni alunno e da chi? Questo è un importante punto che deve essere chiarito. Il sistema digitale potrebbe forse essere uno strumento valido solo se limitato a normali operazioni amministrative, non certo esteso ad informazioni che potrebbero ledere alunni e famiglie.

Ci dispiace infine che ancora una volta i rapporti umani vengano sacrificati in nome dell’efficienza e della celerità. Possibile che un genitore non abbia qualche ora di tempo da dedicare a suo figlio per parlare con gli insegnanti? Stabilire un rapporto scuola-famiglia dovrebbe essere un prioritario obiettivo educativo proprio per la “crescita spirituale”, non solo “scolastica”, dei ragazzi che sono persone, non macchine controllabili con altre macchine. Una guida affettuosa, non un controllo “poliziesco” serve ai giovani, soprattutto oggi, in un mondo privo di punti di riferimento. I più vulnerabili sono proprio i ragazzi che non si sentono amati e in tal caso non basteranno certo i registri elettronici! I progressi della scienza e della tecnica sono importanti per l’Umanità, ma devono essere al suo servizio, non renderla schiava.

Pensiamo pertanto che Cultura, Democrazia, Libertà siano senz’altro tappe inscindibili di un percorso verso un livello evolutivo più alto dell’Umanità. Il punto di partenza è senza dubbio la “Cultura” che non è soltanto istruzione, cioè acquisizione di conoscenze in varie discipline, ma anche Educazione, intesa nel senso più alto come socratica “ars maieutica” (arte della levatrice), ovvero abilità educativa nel “far venire alla luce” conoscenza e verità attraverso il dialogo docente-discente, favorendo un processo di crescita spirituale. Nelle moderne scuole occidentali, anche se piene di aggeggi elettronici di ogni genere, purtroppo spesso l’aspetto educativo inteso in tal senso non è prioritario, anche se in linea di massima il diritto allo studio è più o meno garantito. Pessima la situazione in tanti paesi sottosviluppati dove tale diritto non è nemmeno riconosciuto e… non a caso in essi sono assenti anche democrazia e libertà.

Concludendo, non ci resta che incrociare le dita e sperare che si rifletta su tutto ciò, augurandoci che almeno si provveda a rendere più sicuri edifici scolastici fatiscenti e che le nuove riforme diano posti di lavoro a ”veri educatori”, colti e preparati, sensibili e interessati alla crescita culturale e umana dei loro alunni, garantendo loro stipendi adeguati, libertà d’insegnamento e recupero di dignità.


L’autrice ha il piacere di allegare a questo articolo il video qui sotto riportato (durata di 37.21 minuti) dal titolo:

"Per una laica spiritualità" regia di Matteo Manzitti

in quanto il filmato presenta delle riflessioni bellissime, molto elevate, proprio sulla scuola e sulla nostra società.

 

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