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Operazione Teseo


domenica 1 febbraio 2015 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.
Argomenti: Architettura, Archeologia


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Oltre 5000 reperti archeologici, provenienti da scavi clandestini, sono stati recuperati dai Carabinieri del Comando TPC

Sono 5361 i reperti archeologici recuperati dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC) e presentati alla Stampa nelle sale del Museo Nazionale Romano - Terme di Diocleziano il 21 gennaio 2015, alla presenza del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini. Provenienti da scavi clandestini effettuati nell’arco di una decina di anni in Puglia, Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata, Campania e Lazio, erano stati portati in Svizzera illegalmente: in parte erano stati già venduti, ma per lo più erano collocati in magazzini in attesa di essere acquistati. Come ha precisato il Comandante Mariano Mossa, “si tratta, per quantità e qualità, del più grande recupero di beni d’arte nella storia del Comando CC TPC”. Quanto al loro valore, si è parlato di 40-50 milioni di euro.

Il pezzo più significativo è forse il vaso proveniente dalla Peucezia (regione della Puglia preromana), del VI secolo a.C., raffigurante Teseo che uccide il Minotauro, ovvero quell’essere ibrido nato dall’unione di Pasifae, moglie del re di Creta Minosse, con un toro inviato dal dio del mare. Così come Teseo riuscì a uscire dal Labirinto, dove viveva il Minotauro, salvando i giovinetti ateniesi destinati al pasto del mostro, i carabinieri sono riusciti nella loro impresa di salvare questo patrimonio archeologico italiano dai labirintici meandri di una complessa organizzazione di veri e propri predatori della nostra storia.

L’indagine investigativa, denominata proprio “Teseo”, ha preso l’avvio dall’inchiesta che aveva portato al recupero di un famoso vaso, firmato Assteas, dal Getty Museum di Malibù. L’intermediario che aveva curato la vendita del vaso di Assteas al museo americano, Gianfranco Becchina, aveva iniziato la sua attività come facchino d’albergo, per diventare poi titolare di una galleria d’arte in Svizzera con volumi d’affari miliardari. Gli approfondimenti investigativi su questo “imprenditore” svelarono l’esistenza di società ricollegabili a lui, create allo scopo di eludere i controlli doganali e degli uffici di esportazione. Attraverso diverse attività di ricerca, grazie anche alla collaborazione della Svizzera, furono individuati a Basilea cinque magazzini riconducibili al gallerista e a sua moglie.

All’atto della perquisizione, i Carabinieri del TPC trovarono che i reperti erano sprovvisti di documentazione giustificativa, pertanto tutto il materiale venne sequestrato e messo a disposizione delle autorità giudiziarie, con provvedimento di arresto per la coniuge da parte della polizia svizzera. Successivamente, i Carabinieri del TPC fermarono Becchina all’aeroporto di Milano Linate mentre cercava di lasciare l’Italia.

Insieme ai reperti sono stati trovati faldoni con cataloghi, indirizzi, schede di vendita, che hanno permesso ulteriori indagini sul mercato illecito che operava tra Italia e Svizzera. L’articolata filiera prevedeva una prima fase di restauro dei reperti e una successiva creazione di false attestazioni sulla loro provenienza, attraverso l’attribuzione della proprietà a società collegate. I reperti venivano quindi venduti in Inghilterra, Germania, USA, Giappone e Australia, non solo a privati, ma anche a importanti musei, con operazioni di compravendita apparentemente legali.

Il Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Roma ha emesso in data 10 febbraio 2011 un provvedimento di confisca dei beni sequestrati in Svizzera, in quanto di accertata provenienza da scavo clandestino, da furto, da ricettazione, nonché da esportazione illegale, mentre per il gallerista è stato dichiarato “il non luogo a procedere per avvenuta prescrizione”.

I reperti sono ritornati in Italia, dove saranno palestra di studio per i nostri archeologi, ma “ciò che non tornerà mai più è il contesto storico degli oggetti”, ha dichiarato Mariarosaria Barbera, Soprintendente Speciale per i beni archeologici di Roma. Gli oggetti recuperati, visti tutti insieme, riuniti per tipologia sui pavimenti museali, sono davvero impressionanti. L’epoca di appartenenza va dall’VIII secolo a.C. al III d.C.

Ci sono stele provenienti dalla Daunia (altra regione della Puglia), con incise delle mani, bronzetti provenienti da santuari sardi, affreschi staccati dalle pareti di una villa vesuviana, bronzi di armature che corredavano tombe di guerrieri, sculture votive, tanagrine (piccole sculture femminili), antefisse e soprattutto anfore, crateri, brocche, piatti, cantari, vasi da filtro per il vino e vasi plastici.

Questi ultimi, tipici delle ricche tombe di Canosa (Puglia), sono vasi apuli di grandi dimensioni, la cui funzionalità va al di là di quella di recipienti, essendo delle suppellettili monumentali con ornamenti costituiti da vere e proprie sculture aggiunte. Come luoghi di provenienza di alcune ceramiche sono stati fatti i nomi di Egnazia, pure in Puglia, di Taranto, e di Pontecagnano (Salerno).

Gli oggetti probabilmente saranno esposti nei musei delle regioni di provenienza, ma ormai decontestualizzati. Rimarrà la bellezza dei miti che vi sono raffigurati a ricordarci i ricchi decori delle tombe dei nostri antenati italioti. Ne voglio ricordare uno in particolare, quello con il ratto delle Leucippidi, le due figlie di Leucippo, promesse in spose ai loro cugini e rapite dai due Dioscuri Castore e Polluce. Si tratta di un episodio mitico sicuramente meno noto di quello di Teseo, ma significativo nel contesto di una tomba femminile. Con questo tipo di rappresentazione, si voleva, infatti, evidenziare in una fanciulla la perdita del suo stato verginale e la sua trasformazione in donna.

 

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