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I DENTI DI MICHELANGELO (Ed. Medusa, 2014)

Un caso iconografico: il quinto incisivo superiore nell’opera michelangiolesca

Una curiosa scoperta nell’arte di Michelangelo
lunedì 1 dicembre 2014 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Marco Bussagli


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A pochi giorni di distanza dalla presentazione alla stampa della nuova illuminazione della Cappella Sistina, che permette una straordinaria visione degli affreschi michelangioleschi, è uscito il saggio “I denti di Michelangelo”, edito da Medusa nella collana Wunderkammer, che già dalla copertina raffigurante una grafica dall’Ignudo di Michelangelo verso il profeta Daniele ci riempie di stupore e di curiosità, come in effetti dovrebbe fare una “camera delle meraviglie”.

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Marco Bussagli

L’autore è Marco Bussagli, noto storico dell’arte che, forse non per caso, ha le stesse iniziali M. B. di Michelangelo Buonarroti, e che pone a fondamento del suo lavoro un’attenta e meditata indagine delle fonti storiche e la visione a distanza ravvicinata dell’opera michelangiolesca. Cosa che ha potuto fare, in particolare, nel 1996, salendo sulle impalcature della Sistina in occasione del restauro del Giudizio universale. La sua dimestichezza con l’anatomia artistica, della quale è docente, e la sua passione di studioso lo hanno portato a indagare su una anomalia dentale vistosa, ma della quale nessuno aveva mai parlato prima. Ha scoperto così che la presenza di un dente soprannumerario, un incisivo centrale dell’arcata superiore, che viene chiamato mesiodens o quinto incisivo, è stranamente frequente nei volti michelangioleschi.

È indubbio che Michelangelo considerasse il volto umano come riflesso dell’armonia divina, tant’è che in un sonetto scrive:

“Veggio nel tuo bel viso, signor mio,
quel che narrar mal puossi in questa vita:
l’anima della carne ancor vestita,
con esso è già più volte ascesa a Dio”.

La “mostruosità” del mesiodens, nel senso antico di diversità, è rarissima e, pertanto, se Michelangelo l’ha raffigurata così spesso, ci deve essere un motivo. Bussagli, dopo averla osservata per la prima volta nei diavoli del Giudizio, l’ha trovata anche in altre figure della Sistina, tra cui Giona e la bellissima Sibilla Delfica, come pure nella Furia degli Uffizi e nell’aguzzino che alza la croce nella Crocefissione di San Pietro nella Cappella Paolina del Vaticano.

Dopo aver analizzato i testi di medicina dell’epoca, come quello di Michele Savonarola (zio del più noto Girolamo) che parla di “denti bastardi”, ovvero fuori dalla norma, Bussagli è certo che il quinto incisivo doveva essere una patologia ben nota all’epoca e conosciuta anche dal medico e amico dell’artista Realdo Colombo. Una patologia alla quale Michelangelo, coinvolto nei dibattiti morali e teologici dell’epoca, deve aver dato una connotazione negativa. Ma le cose non sono così semplici. Se nel caso delle figure di diavoli o di dannati il quinto incisivo allude alla violenza, alla lussuria e in genere al peccato, non si può dire lo stesso per la Sibilla e Giona, figure profetiche nelle quali si può vedere non tanto il male, quanto l’assenza della Grazia, perché antecedenti alla venuta di Cristo.

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Grafica della Sibilla Delfica

Continuando nelle sue indagini, l’autore ha avuto modo di constatare, con grande sorpresa, che l’incisivo mediano è presente anche nel Cristo morto della Pietà vaticana. A questo punto, secondo Bussagli, tre sono le ipotesi possibili. La prima è che Michelangelo si sia sbagliato. Ipotesi non percorribile e addirittura offensiva, perché “l’artista ha una conoscenza profonda e puntuale dell’anatomia umana e ha dipinto e scolpito anche figure con arcate ortodontiche”.

La seconda ipotesi è che Cristo venga identificato con il male. Ma tutta la produzione artistica di Michelangelo e la sua vita sono improntate a una limpida dichiarazione di fede, per cui anche questa ipotesi alla Dan Brown è inammissibile.

L’unica ipotesi plausibile è la terza, ovvero “Cristo è colui che prende su di sé il male del mondo”. E per spiegare questa “sorte apparentemente iniqua”, Bussagli cita il passo di Isaia che indica il ruolo della “vittima vicaria” che anticipava quello di Cristo: “.. e Jahveh fece cadere su di lui l’iniquità di tutti noi” e ancora Isaia: “Ma egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, è stato fiaccato a causa delle nostre iniquità”. E, se non bastasse il Vecchio Testamento, ci viene incontro San Paolo quando scrive ai Corinzi: “Colui che non conobbe il peccato, Dio per noi lo fece peccato, affinché noi diventassimo in lui giustizia di Dio” (II Cor. 5,21).

Il mesiodens per Bussagli rappresenta anche il peccato originale, essendo Cristo vero dio e vero uomo allo stesso tempo. Allora quel dente “è l’abisso del male colmato dall’immensità infinita del Bene di Dio, per la remissione del primo peccato all’origine di tutti i vizi”. E qui l’autore riconosce a Michelangelo un’arte davvero “divina”, che solo un artista “teologo” come lui è in grado di realizzare. Un artista sicuramente tormentato dal senso del peccato, che vive la sua solitudine come una specie di condanna e che esprime il suo pensiero attraverso simboli, che non tutti sono in grado di capire.

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Grafica dei diavoli del Giudizio universale

A proposito di questa incapacità di comprensione, Bussagli ha scoperto che il pittore lombardo Marcello Venusti, che nel 1549 realizzò una copia di grandissimo formato del Giudizio universale per il cardinale Alessandro Farnese (nipote di Paolo III), si permise addirittura di correggere la stranezza del quinto incisivo in alcuni demoni e dannati, dipingendo 4 incisivi e non 5, evidentemente perché non capiva del tutto l’opera michelangiolesca. Ma è pure vero che Michelangelo doveva avere una visione così profonda del tema del male e della salvezza, che si è guardato bene dal divulgarla.

Il volume, frutto di un lavoro accurato e capillare, sorretto da un sicuro intuito artistico, che ha portato l’autore a rilevanti risultati di approfondimento dell’opera michelangiolesca, si raccomanda anche ai non specialisti per l’affascinante scrittura, arricchita dai disegni dello stesso autore.