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Memorie di un condannato a morte (Le Lettere, Firenze, 2013)

COME CADDE IL FASCISMO

NELLA VERSIONE DI UNO DEI SUOI CAPI
domenica 1 dicembre 2013 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Luigi Federzoni


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Luigi Federzoni fu negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso un personaggio politico italiano di primissima fila. Egli era infatti uno dei maggiori esponenti di quel movimento politico che si richiamava al nazionalismo italiano e ne fu il capo sino a quando non rinunciò alla sua autonoma linea dopo l’ascesa al potere di Mussolini per favorire la fusione nel “partito nazionale fascista”. Adesso il suo nome torna per un momento all’attenzione giornalistica giacché l’editore Le Lettere (Firenze 2013) ha pubblicato Memorie di un condannato a morte, documento significativo sotto l’aspetto politico, ma soprattutto sul piano personale. Egli infatti, dopo aver rivestito compiti primari a livello governativo (con la massima responsabilità del Ministero all’Interno) e in seguito chiamato alla presidenza del Senato nel regime fascista, preferì – negli ultimi tempi del regime – una posizione piuttosto defilata ritenendo di poter restare una specie di “riserva” nella dittatura. Infine nella fatidica notte del 25 luglio ’43, accompagnò nel voto la proposta di Grandi per restituire al sovrano i “determinanti poteri”, provocando così la caduta del ”duce”, che lo ricambiò quando, liberato dai tedeschi e costituita la cosiddetta repubblica sociale, sostenne la sua condanna a morte – come per Ciano e altri gerarchi – costringendo l’antico collaboratore quindi a nascondersi.

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Luigi Federzoni

Il testo ora viene pubblicato, grazie all’iniziativa di Francesco Perfetti che ne offre una esauriente prefazione. Contiene le memorie su quel tumultuoso periodo, scritte mentre Federzoni era nascosto, con l’appoggio del Vaticano, proprio per sottrarsi alla pena capitale inflittagli dal tribunale speciale della repubblica sociale. Il libro costituisce in sostanza una sorta di rivendicazione del suo discusso operato in una fase cruciale della storia italiana, chiamandosi fuori da maggiori responsabilità.

Il lettore può, attraverso il “testamento” del condannato a morte, rileggere dall’interno l’esperienza del regime con le pretese giustificazioni che uno dei massimi responsabili dà sulle scelte allora compiute.. Ne esce una visione evidentemente edulcorata sulla base delle posizioni ricoperte. La tesi di Federzoni è che, in riferimento al voto del 25 luglio 1943 in sede dell’ultimo “gran consiglio”, non vi fu “tradimmo” perché – sostiene – con il nostro comportamento “salvammo il paese”, in quanto – afferma – la defenestrazione di Mussolini fu resa possibile da quella decisione: una tesi che può servire, dal suo punto di vista, per giustificare il suo atteggiamento nei confronti del capo del regime, ma sembra ignorare la gravità di tanti atti e fatti che condussero alla tragedia dell’Italia. Una versione che può essere letta sul piano della documentazione, come appunto mette in rilievo Perfetti nella sua esposizione: prosegue così incessante l’opera dello storico per fornire una più esatta conoscenza di quella fase decisiva della nostra storia, anche riconsiderando il punto di vista di alcuni dei suoi protagonisti.

La ricapitolazione “minuziosa” di quegli eventi fornisce un quadro ampio della fase conclusiva del fascismo: ma evidentemente sono tutte osservazioni meramente “giustificatrici” anche nella ricerca di una spiegazione sulla contorsione finale del fascismo sottacendo responsabilità evidenti sul piano della storia politica del nostro paese.

Il resoconto dell’ultima seduta del “gran consiglio” era già nota ma ancora oggi colpisce la completa lontananza, estraneità di quei personaggi dalla realtà tragica, nella quale era stata condotto l’intero paese nel ventennio: l’ “asciuttezza” del dibattito svolto in quella sede decisiva per la sorte della dittatura offre, di per sé, non solo la misura della colpevole incoscienza di tutta quella classe dirigente, i cui componenti parlano di quei fatti come se si sia trattato di eventi “ineluttabili”, mentre in effetti la discesa all’inferno della nazione era l’esito diretto di tutta una politica alla quale essi concorsero direttamente: le pretese “giustificazioni” finiscono per accrescere le responsabilità dei comportamenti di singoli, quando questi cercano di scagionarsi sul piano personale.