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LA STAMPA ITALIANA DI FRONTE ALLE MAFIE


lunedì 1 luglio 2013 di Carlo Vallauri

Argomenti: Attualità
Argomenti: Politica


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La denuncia de “L’Espresso”

Lirio Abbate ha curato per “L’Espresso”, in un interessante “audiolibro”, una antologia delle voci che dal settimanale hanno chiaramente denunciato le “imprese” delle mafie. Sono brevi articoli in grado di fornire un quadro ampio e dettagliato di una esperienza giornalistica che non ha mai cessato di richiamare l’attenzione sull’ininterrotto succedersi in Italia di campagne di stampa, schierate con senso di responsabilità e precisione di dati ai rischi derivanti dalla sottovalutazione della gravità del problema come dalle vele di copertura stese spesso quasi a rendere il fenomeno come un malessere inevitabile pressoché incurabile. Invece, come disse con lucida analisi proprio Giovanni Falcone: “la mafia (si riferiva a quella “siciliana) come è nata, è destinata a finire”, e proprio quel magistrato, come altri e tanti fedeli servitori dello Stato, a cominciare dal generale Dalla Chiesa, sono stati implacabili nella lotta contro quel vizio italiano che troppi hanno sempre considerato quasi invincibile.

Tra i testi ora pubblicati nel volume Voci contro la mafia vi sono molte “voci” meritevoli di essere apprezzate per l’evidente chiarezza delle parole e dei concetti espressi. Lo stesso curatore, Abbate, ha osservato nella prefazione che l’omertà è come un’onda d’urto capace di sgretolare barriere inoppugnabili.

Roberto Alajmo spiega come negli anni ‘80 è passata nell’opinione pubblica nazionale l’idea che la morale coincide con il moralismo, utilizzato quindi dalle “anime belle” che “non si vergognavano più di niente riservando agli altri il dovere di vergognarsi”. Il cronista giudiziario del “Corriere”, Giovanni Bianconi, rileva che quel che è successo con l’inchiesta sull’autobomba scoppiata a via D’Amelio mostra analogie inquietanti con quanto si verificò nel 1976 dopo l’eccidio di piazza della Loggia a Brescia, mentre Rita Borsellino rileva i “troppi buchi neri della nostra democrazia che continua ad indebolire”. Massimo Cacciari pone l’attenzione sulla mafia in grado di rappresentarsi come Stato nello Stato avanzando la pretesa di “volere e potere come sovranità autonoma”, mentre l’alto magistrato Gian Carlo Caselli scrive che una “perversa concezione del primato della politica, intossica e soffoca” i percorsi che potrebbero essere positivi. Non mancano inoltre scritti di don Luigi Ciotti, che incita a lottare contro le mafie, impegnandosi per denunciare la corruzione e le illegalità. Vi sono spesso segnali per scoprire “utili misteri” che non vengono però approfonditi nelle ricerche ufficiali, sottolinea Nando Dalla Chiesa.

Dello storico londinese John Dichier viene ripreso quanto lo studioso ha scritto nel noto libro (2007) “Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana”. Altrettanto significativi gli scritti del giornalista britannico John Follain. Merita inoltre di essere letto quanto scrive, in un lungo saggio, Pietro Grasso, che è stato procuratore nazionale antimafia sino a poche settimane or sono: denuncia la difficoltà di mettere in pratica “ardui percorsi di libertà”.

Non manca un documentato intervento di Antonio Ingroia, sino a pochi mesi or sono procuratore aggiunto a Palermo, molto fermo nel deplorare come l’Italia si sia dimostrata “un paese senza responsabilità e quindi senza Giustizia”. A sua volta il noto giornalista Sandro Ruotolo sollecita che “parlino coloro che, per far cesare lo stragismo mafioso, pensavano di trattare con Cosa Nostra”: un silenzio – osserviamo – che da troppo tempo grava sulle “verità” temute da troppe alte personalità che nel corso di decessi hanno ricoperto incarichi di responsabilità. E non a caso Pasolini affermava che non si sarebbe mai venuti a capo delle verità se non si recidevano i rapporti di potere ad alto livello troppo a lungo trascurati.

Abbiamo voluto riferire su questo ampio panorama di interventi, al quale merita di essere aggiunto il nome dell’attuale direttore dell’Espresso, Bruno Manfellotto, sempre in prima linea nella denuncia dei fatti più incresciosi che coprono ancora troppi silenzi. Come ha denunciato Lirio Abbate, l’Italia ha bisogno “di recuperare le memorie e la cultura”. Ammonimento che purtroppo spesso appare troppo generico: “non tutto vi è stato detto correttamente”. E proprio le vicende giudiziarie connesse alla ricerca della verità dei rapporti tra Stato e mafia negli anni ’90 ne danno amara conferma.

 

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