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CINEMA – IL FASCINO ESOTICO DEL MAROCCO

Un breve excursus tra film di qualità
lunedì 1 aprile 2013 di Giovanna D’Arbitrio

Argomenti: CINEMA, Film


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Si dice sempre che la Tv sia la principale causa della crisi del cinema, ma bisogna anche riconoscere che tanti capolavori del passato non sarebbero mai arrivati fino ai tempi attuali senza il ripescaggio televisivo. Quando il regista Michael Curtiz girò il film “Casablanca” nel 1942 molti non erano ancora nati, eppure oggi anche i giovani cinefili lo apprezzano e si commuovono ai drammatici eventi in esso descritti: una bella storia d’amore ambientata nel Marocco francese ai tempi del governo filo-nazista di Vichy sullo sfondo della seconda guerra mondiale. In un incisivo e splendido “bianco e nero”, esso affascina ancora raccontando l’eterna lotta tra il bene e il male.

Le indimenticabili note di “As time goes by” ci richiamano subito alla mente il volto malinconico di Humphrey Bogart nel personaggio di Rick Blaine mentre ricorda Ilsa Lund Laszlo, interpretata dalla grande Ingrid Bergman. Pensando alla ben nota frase “Suonala ancora, Sam..”, ritornano musica e parole:

You must remember this
A kiss is just a kiss
A sigh is just a sigh,
The fundamental things apply
As time goes by...

1000000000000112000000C8D6B37C8BAnche il film “Marocco” di Steinbergh, apparso nel lontano 1930 con due famosi interpreti, Gary Cooper e Marlene Dietrich, deve molto alla televisione che lo ha fatto conoscere al di fuori dei ristretti circuiti dei cineclub. Nella sua trama ritroviamo ancora un mix di amore, intrighi e contrasti nella vita di un legionario.

A quanto pare il Marocco è sempre riuscito a donare al cinema ispirazione e magiche atmosfere con il fascino dell’Africa, l’aspra natura del deserto, il duro percorso storico dei luoghi, insomma un sfondo perfetto per intense storie d’amore, lotte individuali a livello esistenziale o spirituale, sanguinose guerre tribali e coloniali.

Tra maestose cime innevate, oasi e deserto, quanti indimenticabili film sono stati girati! Ci ritornano alla mente, ad esempio, i tormentati personaggi di “Il Tè nel Deserto”, il bel film di Bertolucci (1990), tratto dal romanzo “Sheltering Sky” di Tom Bowles, che racconta la crisi matrimoniale di due giovani americani, Port Moresby (J. Malckovich) e sua moglie Kit (Debra Wing) che decidono di partire per il Nord Africa in un viaggio alla ricerca di se stessi.

Purtroppo il loro vuoto esistenziale, causato dal decadente mondo occidentale del periodo postbellico, non potrà essere colmato dal contatto con una civiltà diversa, primitiva, in lontani luoghi esotici. Man mano che si addentrano nel deserto il disagio aumenta, non solo a livello pratico per difficoltà molto concrete, ma soprattutto a livello spirituale. Port muore stroncato dal tifo e Kit vaga nel deserto qua e là come una sonnambula “sotto un cielo così strano, quasi solido”. Le loro figure si stagliano come impotenti marionette nell’immensità di un paesaggio naturale di grande bellezza e maestosità che tuttavia sembra esaltare e sottolineare la loro solitudine e sofferenza di fronte al grande mistero della vita e della morte.

Il rito del tè, invece, bevuto in diverse ore del giorno anche dalle tribù nel deserto, diventa quasi il filo conduttore del film. “Il primo giro di tè è amaro come la morte, il secondo dolce come la vita, il terzo delicato come l’amore”, pare si usi dire in quelle lontane terre.

1000000000000140000000B5D3216C72Molti sono dunque i film “ambientati” in Marocco, ma ancor più numerosi pare siano quelli “girati” là per sfruttare non solo la varietà del paesaggio, ma anche considerevoli vantaggi economici, soprattutto dopo il 1984, quando il regista L. Teague e i produttori del film “Il gioiello del Nilo” decisero di completarlo non tra le piramidi di Luxor, ma a Ouarzazate, una città marocchina divenuta poi la vera Mecca del cinema mondiale per merito degli “Atlas Corporation Studios”.

In un rapido excursus eccone alcuni: Otello (Welles 1952), L’uomo che sapeva troppo, (Hitchcock 1956), Lawrence d’Arabia (Lean 1962), Cleopatra (Manklewicz 1963), Gesù di Nazareth (Zeffirelli 1977), Kundun (Scorsese 1997), Il Gladiatore (Scott 2000), Le Quattro Piume (Kapur 2002), Le Rose del Deserto (Monicelli 2006), Uomini di Dio (Beauvois 2010) e tanti altri.

Da appassionata cinefila, questi film li ho visti tutti e sono felice di ritrovarli in Tv ogni tanto, poiché per me un bel film è come un buon libro, un vecchio amico che rivedo con piacere. Il passar degli anni e l’acquisizione di una più acuta maturità di giudizio, inoltre, consentono una “rilettura” diversa, una sorprendente scoperta di aspetti, sfumature e dettagli, un tempo nemmeno valutati o compresi.

I buoni film, inoltre, ci fanno sognare, divertire, inorridire, spaventare, pensare, riflettere. Così, mentre siamo comodamente seduti in una poltrona, essi ci trasportano altrove, in luoghi distanti e sconosciuti, facendoci immergere in tante storie umane e imprevedibili situazioni che nella realtà non potremmo mai sperimentare, nemmeno se potessimo vivere innumerevoli vite. In questo senso il cinema insegna, poiché ci permette di ampliare i nostri orizzonti, di affinare la nostra sensibilità e di comprendere meglio il mondo in cui viviamo. Il cinema dunque è specchio della realtà, ma anche fabbrica di sogni e di evasione in esotici luoghi, come il Marocco.

Insomma come affermò Calderon de la Barca “la vida es sueño, sueño vida es”.