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La formazione dello Stato unitario (Rubbettino editore)

BRIGANTAGGIO E VIOLENZE NELL’ITALIA APPENA COSTRUITA

Storia dell’Ottocento
lunedì 1 aprile 2013 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Autori Vari


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Tra le numerose pubblicazioni edite in occasione del 150° anniversario dell’unità italiana merita di essere segnalato il volume della Fondazione Matteotti La formazione dello Stato unitario . In particolare l’introduzione di Guido Pescosolido “Il Risorgimento come problema storiografico” con il richiamo alla famosa opera di Carlo Tivaroni edita negli anni ’80 e ’90 dell’Ottocento (nella quale già nel titolo si usava l’aggettivo “critica” nel delineare la storia risorgimentale), nonché alla più recente “deriva” anti-unitaria. E quest’ultimo argomento è ripreso ampiamente nel saggio di Angelo G. Sabatini sul problema dell’ordine pubblico nel Regno delle due Sicilie.

La “questione” del Mezzogiorno si presta a mille interpretazioni. Ma se non si collegano le condizioni del Sud post-1860 alla situazione reale precedente ne verrà fuori una indagine priva della conoscenza del fattore originario della questione in discussione. E così Sabatini si sofferma su importanti testi della cosiddetta “contro-storia” che nei tempi più vicini ha raggiunto un rilevante numero di studi, tendenti a porre in rilievo nell’esperienza risorgimentale l’invasione di regioni meridionali ridotte a “colonie”, con i massacri, le violenze, il brigantaggio.

Tutte “verità”, s’intende, ed è bene darne nozione ai giovani, ai dubbiosi dei vantaggi e dell’utilità dell’unificazione. Il tentativo di restaurazione dei Borboni dopo il 1861 poggiava su argomentazioni e su pratiche evenemenziali di significativa portata. In effetti – osserva lo studioso – i Borboni costruirono strade, svilupparono industrie e commerci, formarono un esercito. L’organizzazione amministrativa del nuovo Stato (al quale peraltro, nello stesso volume, c’è un saggio acuto e penetrante, non privo di tratti caustici, di Guido Melis sull’unificazione amministrativa) si avvia sulla base di un pensiero che intende essere rinnovatore, ma la vita reale del Meridione risente fortemente della situazione precedente. Ecco perché gli “invasori” non possono non preoccuparsi di tutte quelle forze che possono indebolire le nuove strutture e l’azione dei governi nei differenti livelli locali, ove si prolungano le condizioni preesistenti. 10000000000000FA0000014DE26261E6Un brigantaggio assoldato dai Borboni non può essere colpito se non si procede con interventi decisi e pungenti, particolarmente diretti ad assicurare la tenuta dell’ordine pubblico. Violenza contro violenza? I fautori della restaurazione rappresentano una variegata armata composta da fedeli al passato regime, avventurieri, soldati senza bandiera, contadini rancorosi contro le pretese del “nuovo ordine” di farsi rispettare e di esigere il servizio militare: istanze certamente valide, ma di fronte a bande armate diffuse, guidate da capitani esperti e coraggiosi, i 120 mila soldati del nuovo regno non possono che utilizzare le leggi da stato d’assedio stabilito dai nuovi governanti. Un brigantaggio rafforzato dalla miseria non sembra diminuire: d’altronde – osserva Sabatini – provvedimenti analoghi riguardarono gli altri territori “annessi”, dalla Toscana al Lombardo-Veneto. La guerriglia è nei fatti non un intruso ma una logica conseguenza.Quindi un’opera lenta e tenace di “conquista” viene svolta in quelle condizioni particolari, alle quali però va congiunto, per una rilevazione storiografica obiettiva, l’evidente avvio di pratiche economiche ed istituzionali che consentono all’intero Stato unitario di conseguire i “vantaggi” dell’inserimento nella grande società “europea” dei commerci, dell’esportazione, donde quell’evento storico diventa utile per le varie regioni del nuovo Stato, a seconda delle diverse possibilità e risorse esistenti. Se i soggetti partecipi alla “resistenza” hanno le loro valide motivazioni in riferimento ad una serie indubbia di soprusi e violenze, è altrettanto vero che l’applicazione della dura legge Pica per la repressione del brigantaggio è uno strumento rivolto a isolare, indebolire, punire quel che si opponeva al “nuovo” ordine. Se si voleva costituire uno Stato moderno poteva essere adottata una politica diversa? Teniamo presente che la classe dirigente – sia liberale che conservatrice – era formata da gruppi colti, preparati, informati e aggiornati al progresso europeo: non a caso quella meridionale era cresciuta all’ombra dei Borboni! Ecco il paradosso della nascita dell’Italia.

10000000000000FA0000012F4BA07C9ALa “conquista del Sud” ha implicato misure severe: se si fossero usate pratiche meno stringenti, probabilmente si sarebbero evitate “rotture” gravi e psicologicamente dannose, ma non è detto che si sarebbero ottenuti risultati migliori. La scelta compiuta non depone a favore della lungimiranza dei governi di allora: vere e proprie azioni militari distruttive ed oppressive rendono valide le critiche e il ripetuto atteggiamento oppositorio di ampie parti della popolazione. Il prezzo pagato dallo Stato “italiano” è stato certamente pesante e spiega l’atteggiamento di denuncia e protesta a lungo perdurante nelle regioni coinvolte. Il “disagio” concerneva non gruppi ridotti o isolati, al contrario è ampiamente diffuso: la risposta al disagio è il compimento severo, al limite disgregante, di operazioni militari vere e proprie, rendendo così impossibile un rapporto di reciproca fiducia tra Stato e sudditi, tanto che non pochi meridionali non si sentiranno “cittadini” alla pari. E le misure applicate per la cattura del recalcitranti, dei violatori di leggi, a cominciare dai renitenti, vengono eseguite come se si dovesse estirpare un nemico.

Nel saggio vengono citate particolari situazioni come quelle del , nonché numerose iniziative dirette a rovesciare il dominio dei “piemontesi”. Vorremmo a questo riguardo aggiungere che – pur nella diversità di posizioni e condizioni – fenomeni simili si ebbero dopo la guerra di secessione negli Stati Uniti, con analoghi strascichi di odio, risentimenti, vittime innumere. In Italia, come nella Confederazione americana, in effetti “vinse” – si potrebbe dire – la parte più “efficiente” del paese, a prezzo di violazioni evidenti dei principi stessi di libertà, in nome dei quali si stava unificando lo Stato.

Dati di fatto incontrovertibili e documentati che vanno giudicati sul piano storico, riconoscendo gli errori e i crimini commessi dalla parte “vincente”. Le “ragioni” della causa borbonica cedono perché di fatto è sostenuta da una parte intrinsecamente più debole, tanto più che si era disperso quell’esercito napoletano di cui i Borboni si vantavano. La politica e la storiografia europea prendono atto della conseguita unità, dei successi di Cavour come della “forza” dispiegata dallo Stato unitario, una costruzione da criticare per la mancata applicazione delle pratiche “liberali”, ma con risultati storicamente da valutare per gli effetti conseguiti, secondo la documentazione dei dati economici forniti da Corbino e Romeo, mentre le sofferenze degli sconfitti entreranno a far parte della storia dei “perdenti”. I sostenitori ancora “attuali” dei Borboni hanno certamente molti motivi da far valere in merito ai metodi messi in atto dai governi “nazionali”, ma la realtà storica va valutata per l’insieme degli eventi allora verificatisi e che vanno riconosciuti per quell’insieme di azioni e reazioni proprie di ogni evento complesso.

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Brigante Carmine Crocco

Riflessioni amare che non nascondono l’entità delle violenze compiute, ma che vanno inquadrate in una più vasta considerazione economica e civile, tanto più che il brigantaggio in quelle regioni era già diffuso. Merito di Sabatini è aver fornito sul delicato e contrastato tema notizie precise nei confronti con la situazione precedente. Così il “brigantaggio” perde ogni venatura dal sapore “romantico” o nostalgico per rientrare nel novero dei fatti accaduti, pregni di verità amare, di violenze e di saccheggi, quale prezzo inevitabile insito in ogni impresa sia pure dall’intento innovatore.

La realtà dell’Ottocento in Europa in trasformazione è ricca di pagine furiose, inquietanti: la valutazione che ciascuno può fare risponde alle posizioni rispettive degli indagatori, dei critici, degli entusiasti, dei perdenti. La storia è spietata anche in pagine descritte da alcuni con intenti apologetici – a copertura di operazioni discutibili ed anche esecrabili – da allora ad oggi.

Conosciamo le pene inflitte, i dolori, le ingiustizie. Ciò non esclude che passi in avanti siano stati conseguiti. Entrambe le serie di fenomeni registrati fanno parte del nostro presente, come ammonimenti e riflessioni. Ma ciò appartiene alla storia di tanti paesi. In questo senso le osservazioni contenute nel libro possono essere utili per saper distinguere il significato vero dei fatti e i loro riflessi sugli eventi successivi.

 

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