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Locandina della mostra

IL LIMITE TRA PITTURA E SCULTURA

Personale di Valter Gatti - Prsso la Galleria d’arte moderna e contemporanea di Rieti (Officine Fondazione Varrone),
venerdì 1 febbraio 2013 di Pietro di Loreto

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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C’è un tema ricorrente nelle opere che Valter Gatti (Brindisi, 1949) presenta in questa antologica : un ‘modulo’ del profilo umano fortemente e crudamente delineato, quasi inciso, serpentinato. Un graffito o, forse, una sagoma primordiale, dove la spigolosità appare quasi evocata, certamente ricercata, tanto che –anche a distanza di anni- il frutto di un lungo percorso di studio è ancora così ben presente, se si mettono a confronto il Guardiamoci negli occhi (fig. 1 –tecnica mista del 2007) con il recentissimo Guardiamoci negli occhi con pregiudizio (fig 2 -tecnica mista, novembre 2012).

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L’artistaValter Gatti

Sono passati in effetti svariati anni, e tuttavia i lavori di Gatti, che siano a carboncino – come l’ Autoritratto del 2010 (fig 3) - o in metallo, sovente alluminio, sbalzato e martellato, o ancora che siano in ceramica (la materia che probabilmente l’artista preferisce, considerato il margine di casualità che la lavorazione gli consente) partono sempre da quella figura modulare disegnata a matita, cui si sovrappongono, in stretta successione, stesure di acrilico a volte date a larghe pennellate, altre volte a punta di pennello.

Sembrano quasi proteiformi le opere, dove disegno scultura pittura graffito si contaminano reciprocamente in una sorta di voluto assemblaggio, non certo casuale, bensì espressione consapevole di una idea di storicità della forma che è tutta italiana, o meglio, verrebbe da dire ‘classica’

Nella sua arte, una plasticità davvero evocativa, comunque ammaliante, si fonde, a volte serena a volte irrequieta, in un linguaggio ‘latino’ decisamente cadenzato, ma certo non estraneo agli accenti esotici: si vedano ad esempio la piccola ceramica smaltata del 2009 intitolata Io e Lei ,(fig 4) lavorata in modo sobrio pulito scabro, o anche L’incontro (fig 5 -tecnica mista 2012-), una sorta di intarsio denso di un colore che appare quasi come fosse sostenuto dalle sagome delineate, ancora più evidente nel bellissimo Il Bacio (fig 6 -ceramica smaltata, 2009-). Ma più che un’ossessione di incastri o tarsie di materie levigate atte alla costruzione di una metafisica, emerge l’adesione consapevole allo spirito di una morale estetico-figurativa fatta di appassionata meditazione circa la realtà e la ricerca di un senso di ordine di costruzione da realizzarsi entro il preciso margine del quadro.

La vera evocazione di Gatti sembra da ricercarsi nell’osservazione tanto quanto nel sentimento, nell’animo: lucido, discreto, paziente il suo modus operandi lo fa autentico figlio di questo tempo, del nostro tempo. E lo dimostra appieno ne Il Diverso del 2008 (fig 7) , autentico paradigma della sua poetica, un capolavoro già presentato in una recente collettiva nell’Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti di Roma, che assume il rilievo di una autoriflessione spietata, frutto di una volontà di sintesi inesorabile, quasi un delirio della fantasia, verrebbe da dire, laddove quelle sagome così profilate su sfondi di differenti colori, quei segni che le attraversano come brevi bagliori espressivi sono l’emblema di un percorso verso più inquiete forme di realtà pittorica, piuttosto che una lineare dimostrazione didascalica ad uso degli conoscitori.

Ma v’è altro; guardiamo ancora al centro dell’eccezionale composizione (m. 1,40 x 2,10) dove due profili si relazionano; qui l’artista sembra aspirare ad una poesia tradotta in forme plastiche evocando un sentimento stretto di amicizia, ma che potrebbe anche intendersi come risposta ad una battuta del lungo proficuo dialogo svoltosi da molti anni a questa parte tra lui e un alter ego (sono noti del resto la partnership artistica e il sodalizio professionale con lo scultore Roberto Dottorini) e perciò stesso consegnandoci un universo sentimentale emotivamente intenso. Ne sono conferma perfino I due sguardi diversi e il recente Giano Bifronte (fig 8, 9 – due tecniche miste-) che solo ad uno sguardo distratto potrebbero apparire dissonanti rispetto alla enorme opera e agli esempi citati in precedenza, mentre in verità –con una costruzione ardita non priva di rimandi picassiani- ci dicono di una sua visione cortocircuitata fra lontananze e catturamenti mnemonici di pezzi di realtà, che insistono a porre l’arte sempre in una relazione determinante con il reale. E’questo, insomma, a guardar bene, il modo del tutto individuale con il quale Walter Gatti prova a definire l’essenza dell’opera d’arte.

Vale a dire l’opera d’arte concepita come una sorta di organizzazione testuale, una trama particolare di figure modulari –nel caso del nostro artista- che manifesta chiaramente una propria peculiare compattezza semantica, un linguaggio strutturato, del tutto funzionale ad una estetica del reale e scaturigine di ogni possibile rappresentazione, senza però, al tempo stesso, mai scadere, come accade per tanta parte dell’arte contemporanea, nel ‘culto’ realistico della cosa, quello che il filosofo Mario Perniola ha chiamato “il realismo psicotico dell’arte contemporanea” (cfr M. Perniola, L’arte e la sua ombra, Einaudi, Torino, 2001

L’opera di Walter Gatti è con ogni evidenza in aperta opposizione con un’idea dell’arte come esposizione perversa e psicotica delle cose.

Al contrario, un valore pregnante della sua poetica ci pare di riconoscere appieno nella atmosfera piena di fascino e di poesia evocata dalle morbide e fluttuanti ondulazioni espresse nelle opere prevalentemente grafiche del 2010 (Nebbia ,-pastello su carta-, e Nella Nebbia -carboncino su tavola- fig 10) dove le forme si moltiplicano e s’impongono come tema dominante di una sorta di sinfonia e di primitiva purezza, a dimostrazione di un uso magistrale della tecnica compositiva in tutte le sue forme.

Ma la nostra breve disamina delle opere che Walter Gatti mette in visione con questa antologica non può non concludersi con un’attenzione particolare nei confronti de l’ Arlecchino (fig 11) e della Testa mosaico (fig 12) le ultime opere del 2012, in ceramica smaltata, che ci sembrano partecipare un misto di forma e luminosità, laddove l’aggregazione dei materiali invetriati si completa tramite i rapporti cromatici che si vengono creare, atti sì a delineare la usuale forma modulare, ma anche ad ottenere maggiore luminosità, con i colori che si integrano a vicenda con effetti di forte brillantezza, degna esemplificazione del raggiungimento di un equilibrio pressoché perfetto tra il sentimento morale e il contenuto plastico dei quadri.

Insomma, la mostra –realizzata grazie all’impegno di Claudio Scorretti, direttore artistico di Machina, la Galleria d’arte moderna e contemporanea, e curata da Bruno Targusi- merita davvero di essere visitata.

P.S.

Rieti P.zza San Giorgio, fno al 17 febbraio


 

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