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Rubrica: CULTURA


Dio, i soldi e la coscienza, (Edizioni Paoline Milano)

ECONOMIA E CULTURA TRA INTERESSI E COSCIENZA

Ne scrivono 2 autori tedeschi un monaco benedettino e un manager di successo
sabato 1 settembre 2012 di Carlo Vallauri

Argomenti: Economia e Finanza
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Anselm Grün
Argomenti: Jochen Zeitz


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Due personalità della cultura germanica a confronto sui temi dolenti dell’economia in crisi e dello spirito pubblico. Anselm Grün è un teologo benedettino, Jochen Zeitz il manager di una importante azienda di abbigliamento e articoli sportivi (Puma), sono gli autori di Dio, i soldi e la coscienza, edito in Italia dalla Edizioni Paoline di Milano.

Ed entrambi gli autori entrano subito su argomenti di attualità connessi alle sofferte condizioni delle attività produttive che si accompagnano ad una sempre più evidente inefficacia delle misure predisposte a causa – sostengono i due scrittori, anche se in cortese polemica tra loro – della prevalenza di prove che mettono in guardia circa la possibilità di trovare un componimento della situazione angosciosa in cui l’intera Europa, e quindi anche la Germania, è venuta a trovarsi. Naturalmente non può mancare uno sguardo all’immediato (e non mancano citazioni eccellenti a personaggi da filosofi trascendentali (Emerson e Thoreau) a intellettuali enciclopedici alle prese con questioni pratiche di organizzazione di una società in continuo mutare. Anselm GrünNaturalmente, come accade in questi tempi, al centro dell’attenzione è il mercato con tutte le sue allettanti sollecitazioni e le sue amare realtà. Né mancano richiami ad esperienza storiche poco note, come quelle riguardanti piccoli (numericamente) popoli del Sud America o dell’Africa.

In particolare sono chiamate in causa “fratelli” maggiori abitanti aree territoriali che i nativi hanno ritenuto di preservare dalle contaminazioni di un modernità troppo invadente. E non possono mancare gli elementi ambientali, quali punti di snodo di civiltà che non riescono ad integrarsi in una comune visione. Interessante è il punto di vista aziendalistico da un lato e quello sobrio del monaco dall’altro, opinioni apparentemente diverse anche se entrambi gli interlocutori si trovano ad affrontare il dramma della sostenibilità non come un terreno di disputa ideologico bensì quale reale momento essenziale di passaggio per la stessa vita naturale. Come si collocano nel confronto sull’arte di vivere, di persone che, per stile di esistenza e pratica quotidianità, devono, giorno per giorno, assumere decisioni che influenzano cerchie rilevanti di esseri umani. Jochen ZeitzIl concetto di “missione” non riguarda quindi solo i missionari di “professione”, ma chiama in causa anche la responsabilità di chi opera alla guida di imprese (come nel caso di Jochen Zeitz), mentre Anselm Grün si appella invece al Nuovo Testamento, secondo le indicazioni fornite da Cristo. C’è nell’uomo di oggi “la nostalgia” per il “paradiso perduto”? Un dialogo elegante e prezioso che vede al centro esperienze contrapposte, da quelle monastiche cristiane che tendono ad esprimere il massimo di spiritualità alle posizioni degli imprenditori chiamati ogni giorno a misurarsi con le esigenze degli “aggiornamenti” per farsi comprendere meglio dal mondo di oggi.

La tradizione cristiana con i dieci comandamenti ripropone il rischio per gli uomini di “guadagnare” il mondo intero, come di “perdere” l’anima. Interessante anche l’accenno all’esigenza di raggiungere il massimo risultato con il minimo impiego di risorse, e quindi di “sprechi”. E l’economia non è solo – osserva Zeitz – un insieme di “proiezioni” degli investitori e della borsa ma si sostanzia dei modi concreti con cui beni e introiti vengono amministrati. Se un filosofo come Hume, come d’altronde il suo amico Smith, riteneva che la società avrebbe ricavato effetti positivi dall’affidamento della società e del commercio agli interessi personali e dell’amor proprio, come risponde oggi il fattore umano a tale appello? La competizione sfrenata ha condotto alla massimizzazione dei profitti: si cerca di riempire il “vuoto” delle coscienze, cioè il “nulla”, con l’acquisto di oggetti. Ecco la molla a cui abbiamo assistito proprio – osserviamo – nell’ultimo quarto del ventesimo secolo, con l’ingigantirsi della dipendenza dai prodotti cui siamo stati sottoposti. Come ha scritto Galbraith nel saggio del nuovo Stato industriale neppure più il guadagno è la molla bensì la crescita in sé con il risparmio della mano d’opera e lo sfruttamento illimitato delle risorse, privando l’ambiente della stessa sua componente naturale.Se è vero che ognuno raccoglie quel che semina è evidente che la falsificazione dei bilanci, come nel caso dell’Enron negli Usa e come della Grecia in Europa – aggiungiamo –, introduce nel meccanismo economico una perversità “tossica” che fa crollare gli Stati come tante aziende prestigiose.

E Zeitz insiste sui “limiti” dell’economia di mercato, che si è dimostrato un “pessimo sovrano” come confermato ogni giorno dai danni ecologici e sociali provocati dall’avidità su cui si sono imperniate le attività capitalistiche, benché non siano mancati a tempo significativi richiami, come all’inizio degli anni ’70 gli studi sui “limiti dello sviluppo” (denunciato – precisiamo – non solo dagli studiosi del MIT ma anche da una inchiesta italiana purtroppo dimenticata), mentre si susseguono conferme sull’andamento globale del clima, anche se troppo spesso oggi se ne parla più per mere esercitazioni oratorie che non in accertamenti validamente documentati. Ormai, comunque, è acquisita la consapevolezza del fallimento di una economia che puntava a fare dell’universalità delle problematiche uno strumento per meglio proteggere gli interessi in gioco. Il concetto stesso di “benessere” è mutato, nel superamento delle impostazioni risultanti da confronti effettivi sull’andamento della restrizione predatoria delle maggiori potenze finanziarie. Rimane sempre una distanza notevole tra gli errori in sé compiuti dalle grandi aggregazioni di potere e la “percezione” dei loro effetti, così come almeno pervengono a livello delle masse, soggiogate dal potere del guadagno.

Certo è difficile che un monaco come Grün possa sempre essere all’unisono con un manager, però si avverte nel libro il senso delle differenze di condizioni da cui muovono rispettivamente le due persone nel loro vivere scambi di idee. L’economia tende a diventare una nuova forma di totalitarismo e la nostra vita dipende sempre più da parametri finanziari, sui quali non siamo in grado di influire. La verità – osserviamo – è che siamo “costretti” a tenere comportamenti che, combinandosi, conducono al disastro comune. In quale misura il “pluralismo culturale” può favorire incontri fecondi per la società comune?

Il problema è sempre più ampio perché si estendono le manovre delle piovre dalle quali deriva una realtà indiscutibile, ogni ora si perde un posto di lavoro, producendo così un senso di insicurezza sempre più diffuso. Come intraprendere una nuova strada? Può essere utile elemento di conoscenza leggere le opinioni al riguardo dei due eminenti scrittori di differente condizione e mentalità che non esitano ad esprimere sinceramente le loro idee nel confronto riportato in questo interessante libro.

 

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