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La poesia di Mirò e la stravaganza di Dalì

La pittura surrealista catalana
martedì 1 maggio 2012 di Elvira Brunetti

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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In occasione delle mostre sui due artisti, che sono in corso a Roma, abbiamo il piacere di proporre questa scheda della prof.ssa Brunetti.

MIRO’!Poesia e luce
dal 16.III.2012 al 10.VI.2012
Roma - Chiostro del Bramante

Salvador Dalì
dal 10.III.2012 al 30.VI.2012
Roma, Complesso del Vittoriano

I due grandi artisti che completano e onorano con Picasso la triade spagnola del primo Novecento sono entrambi in mostra attualmente a Roma.

Il primo debitore più del secondo al genio del celebre maestro si può ammirare al Chiostro del Bramante dal 16 marzo fino al 10 giugno, mentre l’eccentrico rampollo di una famiglia borghese di Figueres al Complesso del Vittoriano dal 9 marzo fino al 1 luglio.

Joan Mirò (1893-1983) più giovane di Picasso di dieci anni e più anziano degli stessi rispetto a Dalì segue e assimila le novità delle avanguardie di inizio secolo per elaborare in seguito un’estetica grafica e cromatica particolare e personale.

Salvador Dalì (1904-1989) anticonformista ed esibizionista fin dalla giovane età, spinto dalla passione per la pittura, inizia a copiare con scrupolosa precisione i quadri dei Grandi del passato al museo del Prado di Madrid.

Giunti entrambi a Parigi, città-faro dell’epoca, non possono sottrarsi al fascino della nuova corrente letterario-artistica capeggiata da André Breton, il quale attraverso i due manifesti ribadisce l’idea assolutamente rivoluzionaria del suo movimento: liberare ed esprimere le risorse dell’inconscio; disturbare e sedurre rifiutando l’approvazione del pubblico. Occorre stimolare e provocare la reazione borghese, così scontata, poiché essa si affida solo al livello mentale cosciente. Ma Freud aveva insegnato che esiste un altro livello, sconosciuto prima, di pulsioni profonde.

Singolare è l’esclamazione di Mirò: “Voglio assassinare la pittura”, intendendo con ciò che la stessa languiva in uno stato di arretratezza senza via di uscita.

Altrettanto famosa è quella di Dalì:”Il Surrealismo sono io”. Si riferiva narcisisticamente alla sua brillante e geniale fantasia creativa. In sostanza il movimento nato nel 1924 chiude il periodo delle avanguardie e si può considerare la successione del Dadaismo. Mirò infatti riteneva di aver seguito piuttosto quella traccia, allorquando manifesta una grande immaginazione accanto ad un innato senso umoristico. Vuole dare una vita nuova agli oggetti e alle forme che circondano il suo quotidiano.

Realizza quadri-collage con i materiali più diversi. Lavora la ceramica seguendo l’insegnamento del suo primo maestro Artigas.

Per molti artisti quello d’inizio secolo fu un momento magico, in cui il desiderio di emancipazione li spingeva a sperimentare nuovi campi e nuove tecniche (Fig.1).

Dalì ha solo 24 anni quando realizza il suo primo lavoro surrealista: la scenografia del film di Louis Bunuel “Un cane andaluso”. Nella mostra si evidenzia anche la sua collaborazione con A. Hitchcock e Visconti. Tra gli oggetti esposti: Il divano rosso a forma di labbra e I costumi di carnevale indossati dalla coppia Dalì-Gala sui trampoli a Venezia.

Mirò passa dalle “Pitture di sogno” degli anni ’20 a quelle “Selvagge” degli anni ’30, in cui il dolore della guerra civile spagnola si evidenzia in alcune forme mostruose come: “La testa di una donna”(Fig.2), ma subito se ne allontana per una fedeltà innata al senso poetico della pittura (Fig.3).

L’espressione della dolcezza del paesaggio catalano è la base del suo tratto artistico.

Dopo la parentesi negli Stati Uniti si stabilisce definitivamente a Palma di Maiorca luogo natale materno e vi trascorre gli ultimi 30 anni della sua vita (Fig.4). Finalmente a casa in un ampio atelier di suo gradimento dove poteva perfino camminare sulle sue tele procedendo a spruzzi e gocciolamenti secondo la nuova moda americana.

Nella sua lunga evoluzione artistica non ha mai voluto rappresentare la realtà; preferiva combinare frammenti di oggetti vari secondo linee, curve, punti e colori che sortiscono sensazioni a volte inquietanti, a volte gioiose.

Nel periodo tardo è frequente l’uso di bordi neri ed ampie campiture colorate (Fig. 5). Nella progressione delle sue opere, le sue tele diventano sempre più astratte e le forme più organiche, quasi cellulari, per finire con quei grandi quadri che rappresentano una linea rossa e tanti punti neri nell’immensità del blu.

Mirò presenta Dalì al gruppo dei Surrealisti. Il primo è già noto e apprezzato, ma il secondo reca con sé un soffio nuovo e propulsore al movimento, racchiuso in quel meraviglioso che tanto piaceva a Breton, perché era allo stesso tempo terrificante, una caratteristica del Fantastico di molte sue opere.

Con Gala vive quella che fu una vera passione surreale (Fig.6). L’affascinante donna russa, colta e intelligente, già moglie di Paul Eluard, lascia tutto per seguire l’artista catalano.

Sono presenti nella mostra romana le fotografie di Halsman con i classici baffi-antenne; alcuni video dell’archivio Luce, un esempio: il cubo portato a mano da 4 incappucciati, dal quale fuoriesce Dalì per concedere la sua intervista ai giornalisti.

Tra le opere più significative segnaliamo una versione della “Madonna di Port Ligat”(Fig.7), in cui il piedistallo dissacratorio per la presenza di Gala ricorda la pittura rinascimentale e i numerosi dettagli da lontano elemento della pittura fiamminga alludono invece alla fase mistico-nucleare delle particelle atomiche in sospensione dopo la deflagrazione in Giappone. Le prospettive di Dalì rimandano ad ampi spazi vuoti la cui presenza microscopica dell’uomo è angosciante. L’influenza di De Chirico compare anche nei manichini delle rovine antiche del “Telefono bianco”(Fig.8). Siamo in pieno territorio onirico laddove si sprigionano e vivono i nostri sogni attingendo ad una fantasia senza limiti. Tali sono le immagini di altri mondi impossibili che Dalì ci regala. E’ il metodo paranoico-critico che si basa sulla creazione da parte dell’osservatore di un’altra immagine dell’oggetto rappresentato, il cosiddetto doppio (Fig.9).

Dall’autoritratto con il collo di Raffaello del 1921(Fig.10) a quello finale del “Soft self portrait”(Fig.11), le mani magiche di Dalì, nuovo demiurgo, operano una modifica della realtà, come fanno i bambini con il Das. Le forme degli oggetti perdono in rigidità e assumono consistenza molle e fluida, ribadendo il concetto fondamentale del Surrealismo che nulla è ciò che sembra.

 

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