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Lo spettro dei Samurai a Parigi

Armature preziose raccontano le loro gesta gloriose
domenica 8 gennaio 2012 di Elvira Brunetti

Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Nello sfavillio delle luci natalizie la Tour Eiffel é la migliore cornice al recente museo etnografico parigino del Quai Branly. In quel dialogo di culture che la modernissima sede espositiva si prefigge di rappresentare, spicca come un fiore all’occhiello l’attuale mostra sui ’Samurai e le loro armature’ (8 novembre 2011-29 gennaio 2012).

Da sempre la fedeltà e la devozione degli antichi guerrieri nipponici affascina l’immaginario occidentale. Essi sono il prodotto di un sistema ereditario e aristocratico sul quale si basava il Medioevo giapponese. Nell’antica società c’erano da una parte la casta dei samurai e dall’altra la massa dei contadini con compiti precisi e ben differenziati. La loro epopea dura quasi 7 secoli dal XII secolo (Fig. Logo) fino al XIX, allorquando la storia del Giappone attraversa il drammatico momento di apertura dell’arcipelago verso il mondo moderno.

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Fig. 1

Prima ancora della Corea e della Cina i samurai combatterono contro i Mongoli. Più volte il figlio di Gengis Khan dovette affrontare in battaglie cruenti l’ardore di quei guerrieri, il cui coraggio alla fine fu premiato per la definitiva vittoria dal sopraggiungere di un improvviso tifone che distrusse la flotta nemica. Quel ’vento divino’ é conosciuto sotto il nome di Kami-Kaze.

Fin da piccoli i samurai venivano educati a non aver paura della morte ed erano sottoposti ad una formazione dura ed impietosa, atta a fare di loro delle vere e proprie macchine da guerra, che uccidevano con un dito, un’armata invincibile e temibile.

Dopo i primi rudimentali insegnamenti sulla scherma, intorno ai 6 anni il predestinato entrava in possesso di una spada in sostituzione della precedente di legno. Al compimento dei 15 anni diventava adulto e secondo il rituale gli si tagliavano i capelli lasciando solo lo chignon, simbolo quest’ultimo del nobile rango.

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Fig. 3

Ma la vera consacrazione é l’acquisizione della piccola sciabola, famosa perché con essa potrà fare il seppuku, il suicidio imposto dal codice d’onore (Fig. 1). Esso prevede lo sventramento eseguito a dorso nudo, disegnando sull’addome una croce da sinistra a destra e dal basso verso l’alto. Mentre atroce é la sua sofferenza, il suo scudiero in piedi dietro di lui lo decapita con un colpo secco, facendo bene attenzione a lasciare la testa sul tronco.

Il seppuku, noto agli Occidentali col nome di Hara-Kiri fu bandito nel 1876, quando il Giappone entra nell’era contemporanea. Nel 1945 fu riattualizzato quando l’imperatore rinunciò pubblicamente alla sua divinità e coloro che non sopportarono la vergogna della sconfitta decisero di morire. In seguito fu il turno di dello scrittore, premio Nobel, Yukio Mishima, grazie al quale fu resa popolare la bibbia del guerriero nipponico attraverso la sua opera: ’Il Giappone moderno e l’Etica del samurai’.

Il cinema, il teatro, la letteratura perfino il disegno animato, nessuna arte visiva ha potuto fare a meno del fascino esercitato da tali figure. Basti pensare al film di Akira Kurosawa del 1954: ’I Sette Samurai’ (Fig.2) un capolavoro cinematografico ripreso in seguito da tanti registi.

I piaceri dello spirito, come ad esempio, la poesia, la calligrafia, il gioco degli Scacchi si accompagnavano al rituale del té senza trascurare i piaceri della carne. La geisha é simile al samurai per la sensibilità all’estetica e alla cultura, il rispetto della tradizione e l’obbedienza alla casta.

L’esposizione al museo del quai Branly offre al visitatore il giusto rilievo dell’importanza che avevano le armature. Mentre quelle iniziali rispondevano ad una funzione protettrice, vedi il guerriero a cavallo con l’arco e le frecce, (Fig. 3), in seguito soprattutto durante l’epoca Edo, nei suoi secoli di massimo splendore: XVII, XVIII e XIX, i samurai indossavano, con orgoglio ostentato al pubblico, pregiate armature, vere e proprie opere d’arte (Fig. 4 e 5). Sono maschere che attingono al regno del fantastico; ricoperte di pelliccia, lacca e seta, esse trasformano quell’uomo in una creatura irreale capace di pietrificare il nemico.

La famosa collezione Ann e Gabriel Barbier-Mueller é unica al mondo. La mostra espone 140 oggetti mai presentati al pubblico.

Alcune di tali maschere sembrano delle sculture impressionanti. Esse ispirano non solo l’orrore delle battaglie bensi anche la raffinatezza della loro civiltà.

Caschi e maschere evidenziano il senso del teatro. Si legge quasi una forma di caricatura estetica. C’é una ricchezza che sbalordisce per gli ori, le lamelle, i tessuti pregiati con riferimenti a volte a draghi (Fig. 6), a volte a Buddha (Fig. 7), non solo, ma anche poetici come i raffinati disegni di fiori di prugna sulle guance (Fig.8).

Armature quindi eseguite da grandi artisti che lavoravano per famiglie aristocratiche importanti. La vanità che si unisce al potere si concludeva alla fine in una gara di ostentazione nelle dimore sontuose dei samurai, in cui si ricomponevano alla perfezione tutte le maschere, aggiungendo oggetti e accessori non necessariamente utilitari, come ’Il corvo minaccioso’ (Fig. 9).

 

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